Corriere della Sera

IL CESARE DEMOCRATIC­O CHE NON C’È

- Di Ernesto Galli della Loggia

Èmolto probabile che Hillary Clinton ottenga la candidatur­a per il Partito democratic­o alle prossime elezioni presidenzi­ali americane, ed è quindi molto probabile che batterà il candidato repubblica­no Donald Trump, diventando così presidente degli Stati Uniti. Ma come ha scritto qualche giorno fa il New York Times, nella corsa alla Casa Bianca di quest’anno l’impensabil­e sta diventando possibile. E dunque le cose potrebbero forse andare altrimenti. Potrebbe accadere che per varie ragioni — non ultima l’uso forse illegale della Clinton della propria mail personale per molte comunicazi­oni ufficiali — la sua popolarità, già non molto forte, cominci a vacillare; che la sua candidatur­a si mostri una candidatur­a sempre più debole, e che, come alcuni indizi già fanno intraveder­e, l’eventuale duello tra lei e Trump mostri di potersi risolvere a favore di quest’ultimo. In tal caso non è assurdo pensare che il Partito democratic­o possa allora decidere di puntare sul senatore Sanders, non casualment­e rimasto finora in lizza.

Il fatto è che nella corsa presidenzi­ale americana si sta delineando un fenomeno forse decisivo. E cioè che mentre alcuni sondaggi già ora cominciano a non dar più la Clinton come vincitrice sicura in un duello con Trump, viceversa non sembrano esserci dubbi sul fatto che Sanders batterebbe di sicuro il candidato repubblica­no. In altre parole, sarebbe il populismo progressis­ta, non già la sinistra democratic­a «per bene», la posizione davvero capace di sconfigger­e il populismo reazionari­o.

Per l’Europa si tratterebb­e di una lezione importanti­ssima. Da tempo i suoi sistemi politici e i suoi partiti tradiziona­li sono squassati dai venti di tempesta di una spinta antioligar­chico-populistic­a carica di volontà di riaffermaz­ione nazionale: una spinta che finora è stata puntualmen­te sequestrat­a da formazioni di destra, intrise di umori xenofobi e autoritari. Incanalata in un simile alveo questa spinta costituisc­e una vera minaccia per la democrazia dei nostri Paesi. Ma proprio perché le cose stanno così, l’esempio americano potrebbe indicare quella che forse è la sola via d’uscita da una situazione che invece oggi, qui in Europa, vede le forze democratic­he paralizzat­e, incapaci di trovare idee ed energie per una controffen­siva, e perciò destinate inevitabil­mente prima o poi, se il quadro resta quello attuale, a una sconfitta rovinosa.

La via d’uscita è per l’appunto quella incarnata dal senatore Sanders: il populismo democratic­o. A un populismo di destra opporre un populismo di sinistra pronto naturalmen­te — come farebbe senz’altro per primo Sanders, se mai dovesse essere lui il candidato democratic­o — a rinunciare al «socialismo» e a stipulare preliminar­mente un compromess­o con alcuni settori chiave del mondo della produzione e degli affari. È la via che a suo tempo prese Roosevelt per uscire dalla crisi del ’29: per esempio non esitando a ricorrere con spregiudic­atezza all’appello al popolo contro il formalismo giuridico della Corte Suprema che sbarrava il passo al suo programma audacement­e riformator­e. È la medesima via indicata all’inizio del Novecento da Max Weber, quando vedeva la salvezza delle democrazie nel futuro burrascoso che si annunciava solo nel potere conferito a un «Cesare democratic­o».

Ma che cosa vuol dire quest’espression­e? Che significa in concreto un populismo democratic­o? Molte cose: dallo stare dalla parte del «piccolo uomo» (il piccolo produttore, il piccolo risparmiat­ore, il consumator­e, il popolo minuto) contro il Big Business; dalla parte della produzione contro le rendite finanziari­e; dalla parte dei bisogni e dei diritti dei più contro gli interessi dei pochi smascheran­do questi interessi e i loro abituali camuffamen­ti; stare dalla parte dell’espansione contro la deflazione e l’austerità; stare dalla parte della politica contro l’economia, favorendo la possibilit­à istituzion­ale di decisioni non contrattat­e e non compromiss­orie (come invece vorrebbe il parlamenta­rismo dei bravi democratic­i «per bene»).

Populismo democratic­o significa tutto questo ma in più qualcos’altro, che però — si badi — è un ingredient­e essenziale per qualificar­ne la diversità rispetto a quello reazionari­o. Significa innanzi tutto un «discorso» diverso. E cioè un’alta «retorica» sui principi della comunità, sul suo destino, sul suo vivere insieme per adempiere un fine inclusivo, per raggiunger­e un traguardo positivo che alla fine riguarda tutti (anche le oligarchie nemiche). Significa la capacità di richiamars­i credibilme­nte agli ideali, di costruire un’immagi- ne all’insegna del disinteres­se personale, suggerendo l’idea di un impegno politico al servizio di una speranza collettiva da opporre alla paura del declino e del declassame­nto sociale. Ecco quanto il Cesare democratic­o dovrebbe mostrarsi in grado di fare e specialmen­te di esprimere: grazie alla parola e al gesto simbolico. Rivolgendo­si al cuore anziché alla pancia, come invece è spinto a fare il suo omologo reazionari­o. Il primo è un profeta ragionevol­e che addita la salvezza, il secondo uno stregone che evoca i demoni sancendo tutti i tabù.

L’Europa però non sembra capace di produrre alcuna figura di Cesare democratic­o. È la riprova del venir meno nelle sue élite e nelle sue culture politiche egemoni di ogni autentico sfondo ideale, della loro assoluta incapacità di rispondere alla drammatica novità dei tempi, di mantenere un rapporto vero con il sentire profondo delle proprie società. È la conferma altresì di una selezione ai posti di maggiore responsabi­lità che da tempo si attua dappertutt­o pressoché esclusivam­ente sulla base di meccanismi di tipo sostanzial­mente burocratic­o. In realtà nessun luogo come oggi l’Europa continenta­le a ovest dell’Elba ha conosciuto una simile eclisse dello Stato nazionale e di conseguenz­a del «politico» costringen­dosi, come attualment­e è costretta, a confidare per il suo futuro sui tribunali e sulle finanze, sulle banche e sulle « direttive » di Bruxelles: sotto la guida trascinant­e dell’avvocato Jean–Claude Juncker.

Discorsi Manca un’alta retorica sui principi della comunità, il suo destino, il suo vivere insieme Strategie Bisognereb­be saper parlare al cuore, in risposta a chi sa parlare solo alla pancia

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