Uomini violenti: non sanno chiedere aiuto ma l’aggressività si può curare «S
ono un mostro», ha detto Vincenzo dopo la confessione. Ed è la frase peggiore che potesse pronunciare, per chi segue gli autori di maltrattamento. «È un meccanismo di difesa per non entrare in contatto con la “parte oscura” di sé. Come fa chi, da fuori, lo chiama mostro e vuole soltanto buttare via la chiave, allontanare il problema invece di affrontare tutte le sue complessità», spiega la criminologa Francesca Garbarino. Da dieci anni lavora nel progetto di trattamento per sex offender al carcere di Bollate e dal 2009 al Presidio criminologico territoriale del Comune di Milano. E di una cosa è certa: «È difficile che l’uomo chieda aiuto da solo».
Ricardo è un pasticcere di origini latino-americane. Ha trascorso un’infanzia traumatizzante in patria, il padre alcolista lo maltrattava pesantemente, la madre era lontana. Ha difficoltà a gestire la collera e l’impulsività. Quando la compagna minaccia di togliergli i figli, tira fuori il coltello e poi tenta di strangolarla. «Stringevo, stringevo. Quando ho visto che cambiava colore ho capito che dovevo fermarmi». Lei non lo ha denunciato stanno ancora insieme. Ricardo va regolarmente al Presidio (servizio gratuito, numero verde 800667733) dove una volta a settimana una decina di uomini come lui, autori di maltrattamenti, si incontra. Parlano, seduti in cerchio, ascoltandosi l’uno con l’altro. E così si aiutano.
Peccato che in Italia i centri per gli autori di maltrattamenti siano appena 15. Nessuno al di sotto del Lazio. A Torino è in corso un progetto sperimentale, «Opportunity», per ora unico in Italia. Con il sostegno della Tavola Valdese, il Gruppo Abele organizza un percorso residenziale per uomini «che intendono interrogarsi sulla propria aggressività». Si sono alternati finora in cinque nell’alloggio da tre posti letto, seguiti almeno per sei mesi da un’équipe tutta maschile. Francesco era in dormitorio perché su consiglio dell’avvocato aveva dovuto lasciare la casa. «La priorità resta la tutela delle vittime», chiarisce Ornella Obert, referente del gruppo area vulnerabilità del Gruppo Abele. Il progetto però ribalta l’abitudine che vuole la messa in sicurezza della donna, e non l’allontanamento dell’uomo.
Anche Marina Valcarenghi, psicoanalista, da anni lavora sul fronte della prevenzione e del recupero. «In alcune carceri si lavora già da tempo su questi