Amici e parenti devono intromettersi: così si possono salvare delle vite
solo non siamo capaci di individuare le spie d’allarme, ma le sottovalutiamo.
Indifferenza? Superficialità? Non proprio. È piuttosto quell’umana consuetudine che ci porta erroneamente a pensare che sia giusto non intromettersi. Per anni, secoli, attraverso stupidi e insignificanti modi di dire, si è insinuata in noi la convinzione che «tra moglie e marito è meglio non mettere il dito», che «i panni sporchi si lavano in famiglia». Ma quando in famiglia, nella coppia, nella relazione c’è un qualche tipo di violenza, fisica o psicologica, bisogna avvalersi del sacrosanto diritto di impicciarsi.
Chiedere, fare domande precise e se necessario, agire anche al posto della vittima. Perché la rete di rapporti umani che circonda la donna che subisce violenza può fare la differenza. Noi possiamo fare la differenza. «Anche se non è affatto facile — ammette Loredana Taddei, responsabile delle politiche di genere della Cgil —. Basti pensare che persino per le vittime, a volte, è complicato percepire il pericolo reale. E noi che stiamo a guardare spesso riconduciamo tutto alle dinamiche di coppia e al rapporto amoroso. Invece va fatto uno sforzo per individuare sin da subito le situazioni pericolose e denunciare». O convincere chi sta vivendo un rapporto pericoloso a chiedere aiuto.
«È per questo che parliamo di problema culturale perché nonostante tutto la violenza non è ancora percepita nella sua gravità — aggiunge Titti Carrano, presidente dell’associazione D.i.r.e — e questo è un problema grave. Se si è amiche o conoscenti di una donna che vive una situazione critica bisogna insistere, capire di più, invitarla a rivolgersi a un centro antiviolenza dove il percorso di difesa e libertà viene costruito insieme a lei».
Ancora più netta è Teresa Manente, avvocata penalista e responsabile dell’ufficio legale Differenza donna: «La cultura maschilista uccide più della mafia e davanti alla violenza sulle donne, dobbiamo sentirci tutti in dovere di denunciare. Le direttive internazionali — aggiunge — stabiliscono che la violenza sulle donne è un fenomeno sociale e chi non denuncia si rende complice. Le leggi ci sono già, si può fare anche una segnalazione anonima all’autorità giudiziaria. I reati gravi sono procedibili d’ufficio. Messaggi di negazione della libertà femminile, prevaricazione, oppressione non sono amore». Anna Recalcati È morta a 69 anni, un colpo di pistola alla testa. A sparare è stato suo marito. Nessuno sa dire perché l’ha fatto Deborah Fuso 25 anni. Per salvarsi è scappata per le scale. Ma il fidanzato l’ha raggiunta e accoltellata. Poi ha provato a uccidersi. Inutilmente Michela Noli 47 coltellate. Così Michela, 31 anni, separata da poco, è stata uccisa dal marito che poi si è tolto la vita tagliandosi la gola