NON SCANDALIZZIAMOCI PER BENIGNI, L’ERRORE È CONSIDERARE I COMICI GUIDA MORALE DEL PAESE
Se in tanti sono restati spiazzati dalle capriole di Roberto Benigni sul referendum renziano è perché, forse, per troppi anni, i comici sono stati visti come guida morale di questo Paese. Quand’è iniziata questa confusione tra la società civile e la società dello spettacolo? Forse nel 1983 quando Benigni ha preso in braccio Enrico Berlinguer, sul palco a Reggio Emilia. Scena re-interpretata nel remake tardo-democristiano del 2007, quando Benigni si fece prendere in braccio da Clemente Mastella, alla festa del Campanile, a Telese Terme (Benevento). Certo quei burloni (involontari) dell’Accademia svedese ci hanno confuso, dando il Nobel per la letteratura a Dario Fo, nel 1997; anno in cui Antonio Tabucchi, sul «Corriere della Sera», attaccava gli intellettuali italiani «figli di Arlecchino». Negli Anni 90 molti ridevano o erano costretti a ridere alle battute e barzellette di Silvio Berlusconi, mentre altri invano denunciavano che «Il Re è nudo!», rifugiandosi nel diritto di satira per poter informare o diffamare. Sarà allora stato il 2001, quando il satiro Daniele Luttazzi era a disagio di fronte alle tesi di Marco Travaglio che presentava L’odore dei soldi a Satyricon in tv. O saranno stati i girotondi, nel 2002, di Nanni Moretti e gli altri intellettuali impegnati, con la loro sbornia di indignazione ludico-regressiva: una deriva che ha portato a chiedere le dimissioni del Cavaliere con battute e barzellette, come fece Umberto Eco al Palasharp di Milano, nel 2011. Ormai, l’avanspettacolo era già diventato politica attiva, con Beppe Grillo che nel 2007 ha lanciato il primo Vaffa day e nel 2013, con il Movimento Cinque Stelle, raccoglierà milioni di voti. Forse, tornando a Tabucchi, il problema non è tanto che gli intellettuali siano «figli di Arlecchino», ma che «i figli di Arlecchino» siano considerati la guida intellettuale e morale del nostro Paese.
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