LE NUOVE DI PAPA FRANCESCO
RIFORME
raffico, immondizia, degrado: e molto di più. Ogni voto amministrativo, in un Paese poco pragmatico come il nostro, ha sempre - anche - un contenuto ulteriore, politico quando non ideologico. E, se è pressoché dichiarata la partita di prospettiva nazionale che i Cinque Stelle sperano di giocare su Roma, è forse ancora più vistosa (benché non del tutto esplicita) la scommessa di Luigi de Magistris su Napoli: e pone in questione il futuro della sinistra italiana, quella che oggi vede in Renzi il proprio babau.
Se i sondaggi non mentono troppo, il sindaco uscente pare abbia realizzato un vero incantesimo napoletano, convincendo i suoi concittadini di essere appena sceso da un pullman di zapatisti a Mergellina anziché aver governato la terza città italiana per cinque anni filati con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Salito sul palco della vittoria a giugno 2011 (« avimmo scassato! ») con promesse irrealizzabili come una raccolta differenziata al 70 per cento, de Magistris era precipitato dal cuore dei napoletani in modo così verticale da riaprire ogni tipo di manovra su Palazzo San Giacomo ad appena metà mandato. E’ probabile soffrisse il ruolo istituzionale (e la concretezza relativa) - il suo tratto tribunizio sposandosi assai meglio con la bandana arancione che con la fascia tricolore.
Forse la sua fortuna è stata, per paradosso, l’inciampo giudiziario di una condanna in primo grado per abuso d’ufficio (poi ribaltata dall’assoluzione in appello) che l’ha fatto incorrere - temporaneamente - negli strali della legge Severino e l’ha trasformato da primo cittadino in «sindaco di strada», da uomo delle istituzioni per forza in agitatore per vocazione e per sospensione ope legis. Fuori da Palazzo San Giacomo il sindaco-non sindaco ha sparato su norme e magistrati (lui, ex magistrato), ritrovando la sua scapigliata ispirazione di guevarista del Vomero. Ed è stato capace di sintonizzarsi - gli va dato atto - con le pulsioni più profonde d’una città dove la plebe non s’è mai trasformata compiutamente
UN PROGETTO PER L’APPARATO INFORMATIVO
Le sfide di fronte alle quali si trovò papa Francesco al momento dell’elezione erano amplificate dalla particolare gravità di una crisi culminata nelle sofferte dimissioni di Benedetto XVI. Due erano i cantieri da aprire con urgenza, pur sapendo che la Chiesa per sua natura non è attrezzata a subire drastici rivoluzionamenti. Il primo riguardava la governance: dalla scelta di persone capaci di incarnare un genuino rinnovamento della gestione istituzionale, ad una riforma delle strutture comprese quelle preposte alle attività economico-finanziarie. D’altronde la stessa aria che si respirava nella fase preconclave lasciava presagire che l’elezione del successore di Pietro dovesse convergere su un cardinale disposto a prender di petto certi fenomeni di malgoverno per nulla estranei al volontario esilio di papa Ratzinger. Il secondo consisteva nella ricerca di un approccio pastorale più accessibile per riavvicinare le masse ad una religiosità spontanea, pungolando società votate a relativismo e secolarizzazione esasperata.
Benedetto è stato una personalità straordinaria, purtroppo largamente incompresa, e alcune criticità ascrittegli erano un retaggio proveniente da anni precedenti. Il suo percorso fu oltretutto complicato da problemi di comunicazione. Per contro la semplicità di papa Bergoglio nel parlare alla gente ha sconfitto l’indifferenza di tanti e proprio la comunicazione rappresenta un tema centrale del suo operato. Dei due cantieri aperti, quello pastorale ha riscosso maggior successo pur in presenza di voci dissonanti, utili comunque a scongiurare acritici unanimismi. Meno semplice appare il fronte della governance e i temi più delicati, nonostante gli sforzi esperiti, rimangono quelli della gestione bancaria e patrimoniale. Quanto al rapporto fra la Segreteria di Stato e la neo istituita (febbraio 2014) Segreteria per l’Economia, un periodo di normale rodaggio consoliderà la ripartizione delle rispettive competenze.
Venendo alla riforma della Curia e del governo della Chiesa, qualche perplessità è emersa per i tempi lunghi rispetto alle aspettative createsi all’inizio del pontificato. E’ probabile che la fase avviata tre anni fa subisca una certa accelerazione in autunno, dopo la fine del Giubileo. Non si prevedono colpi di teatro ma soluzioni, forse già chiare nella mente del Pontefice, che vorrebbe inquadrarle in un processo ecclesiale coinvolgendo tutti i protagonisti istituzionali. Questo spirito di condivisione invierà un preciso segnale, all’interno e all’esterno della Curia, verso chi teme tale riforma. C’è però un ambito nel quale le cose stanno procedendo a un ritmo superiore rispetto al resto e non è un caso che sia proprio quello del sistema comunicativo della Santa Sede. In verità se ne parlò per la prima volta vent’anni orsono, poi con un solo anno di attività preparatoria il 27 giugno 2015 veniva istituita con motu proprio di papa Francesco la Segreteria per la Comunicazione. Ne conseguirà una ristrutturazione globale dell’apparato informativo da ricondurre ad unità gestionale sotto un Dicastero cui risponderanno istituzioni con una lunga storia: dalla Sala Stampa, al Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, dall’Osservatore Romano a Radio Vaticana.
Il progetto, sottoposto al vaglio dei Capi Dicastero della Curia e del Consiglio dei 9 Cardinali che assistono il Papa nelle riforme, crea inevitabili resistenze sia del personale che teme per il proprio futuro, sia di chi vede nella nuova Segreteria un superdicastero paragonabile agli altri due pilastri (Segreteria di Stato e Segreteria per l’Economia). In attesa della piena operatività del progetto, appaiono comunque condivisibili le sue finalità: coordinamento di enti chiamati a parlare con una voce sola evitando dissonanze, contenimento delle spese, maggiore penetrazione dei media vaticani nella comunicazione globale.