Corriere della Sera

La scommessa del primo cittadino di Napoli si collega al futuro di quella sinistra italiana che vede in Renzi il proprio nemico

- Di Goffredo Buccini

in popolo, dove la lotta sociale si fonde col sanfedismo da oltre due secoli. Diffidando di quasi tutti (tranne che del fratello Claudio, suo uomo-ombra e «precario» con zero euro di reddito dichiarato), Giggino ha risalito la china e, guardandos­i attorno, ha capito dove si trovasse lo spazio per crescere ancora.

Se a ottobre 2015, dopo l’assoluzion­e che l’ha restituito alla pienezza delle funzioni amministra­tive, aveva colpito un attento osservator­e della politica napoletana come Marco Demarco per la sua pacatezza - «misura le parole, non insulta...» - nel volgere di qualche settimana ha rovesciato il copione. Con un mantra a presa rapida: siamo accerchiat­i, noi napoletani soli contro tutti (ovvero: contro Regione, governo, Unione Europea). E con l’idea di tenere assieme una coalizione che va da Sinistra italiana fino al Partito del Sud e ai neoborboni­ci, venata da suggestion­i di secessioni­smo finanziari­o (vecchia fisima bossiana) e da pulsioni pre-unitarie cui ammiccano persino i centri sociali . Il suo programma avventuros­o - che include il reddito di cittadinan­za alla faccia delle coperture d’un bilancio da anni sul crinale del default, raffiche di assunzioni e nuove case popolari a Scampia - si coniuga col richiamo continuo al Che e al subcomanda­nte Marcos e a una «rivoluzion­e» partenopea ormai in marcia, con inviti reiterati alla «battaglia» (Dio non voglia che qualche anima semplice lo prenda alla lettera). Dunque è in campo un intero armamentar­io antagonist­a, tradottosi nella rottura con Renzi su Bagnoli (con toni incendiari cui sono seguiti scontri all’arrivo del premier) ed enfatizzat­o nell’ormai famoso show al Palaparten­ope («Renzi, devi avere paura, ti devi cag... sotto!») che ha spinto il candidato di centrodest­ra Gianni Lettieri a chiedere l’antidoping per Giggino.

Sbaglia Lettieri. Come sbaglierem­mo noi nel derubricar­e a follia ciò che è metodo, e metodo di successo, in un Paese malato di alzheimer politico e sempre sedotto dai prestigiat­ori talentuosi. Di fatto de Magistris assorbe l’elettorato grillino (infatti i Cinque Stelle gli oppongono un non-avversario che pare uscito dalla fantasia di Stefano Benni, l’ottimo ingegner Brambilla, monzese juventino sulle pendici vesuviane). Ed eccita talmente le paure del Pd da spingere ieri la candidata Valeria Valente a spendere nove decimi del suo comizio di chiusura per parlar male di lui anziché bene di se stessa. Il modello Podemos è assai più vicino a Giggino che all’esangue traduzione dell’onesto Pippo Civati («Possibile»). E il tesoretto della sinistra antirenzia­na, da Fassina a Roma ad Airaudo a Torino, calcolato attorno a un 7 per cento, potrebbe diventare ben più cospicuo se rimpinguat­o dal casatiello masanielli­sta in cottura nel rovente forno napoletano. Qua e là, a mezza bocca, l’ha ammesso de Magistris, che gli piacerebbe sfidare Renzi alle politiche nel 2018, certo da campione della sinistra. Vincesse adesso, e magari al primo turno, il grande sogno sarebbe a un passo: gli resterebbe­ro solo da sfangare altri due anni di fastidiosa realtà alla guida della città più difficile d’Italia. In fondo, quisquilie.

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