Corriere della Sera

Il canto d’amore di Gucci nel chiostro di Westminste­r

L’approccio «archeologi­co» di Michele sulle note di Simon & Garfunkel

- Paola Pollo Pa. Po.

i sono la regina Elisabetta e la regina Vittoria, Wally Simpson e Sherlock Holmes, il punk e il rock nella promessa d’amore che Alessandro Michele pronuncia firmandosi Gucci nella solennità dei chiostri dell’Abbazia di Westminste­r, fra volte centenarie e un coro di voci bianche.

Sacro e profano: mai prima d’ora la moda era arrivata là dove da più di mille anni sono incoronati, uniti in matrimonio e celebrati nell’addio quasi tutti i reali d’Inghilterr­a. Trecentoci­nquanta invitati e una passerella lungo i quattro lati del cortile interno: file di panche. Novantasei uscite nello stile che ha deciso che sia Alessandro Michele il giorno in cui, neppure un anno e mezzo fa, è stato nominato, e che è il risultato di una creatività libera dove colori e tessuti, forme e stampe s’incontrano d’istinto più che per regola. E un po’ s’intravede un fanciullo che gioca con i vestiti della mamma e della nonna trovati in certi bauli della memoria e poi sovrappost­i a un quotidiano che è la strada. Vince l’eccentrici­tà certo. E il caos. Ma non è un caso se al ragazzo danno del rivoluzion­ario.

Paillettes e tulle, plissè e pizzi, jeans e chiffon. Verde e rosso, arancio e giallo, azzurro e rosa, nero e bianco. Fiori e tartan. Ricami e stampe. Vesti-lingerie e completi pigiami, chemisier corti anni Settanta e lunghi malinconic­i e accollati, bomber di jeans e doppiopett­o argentati, felpe e pellicciot­ti, denim candeggiat­i e anfibisand­ali. Michele parla di un lavoro archeologi­co sui grandi temi della moda londinese, cominciato da quando, adolescent­e, veniva qui e osservava la strada più che le grandi maison. Uno sguardo curioso su quel che lo circonda che è nel dna dello stilista e che lo attrae È una mostra fotografic­a a inaugurare il nuovo Museo della moda e del costume di Firenze. Il fotografo, ovviamente, è speciale: si tratta di Karl Lagerfeld ( a sinistra con la sua gatta Choupette), da decenni stilista di Chanel e di Fendi, una delle figure più iconiche della scena mondiale del fashion. La convenzion­e siglata nella sala da ballo della Galleria del costume di Palazzo Pitti tra direzione delle Gallerie degli Uffizi e Pitti Immagine Discovery — la fondazione costituita da Pitti Immagine e Centro di Firenze per la moda italiana — ha l’obiettivo di un programma triennale di appuntamen­ti dedicati alla moda contempora­nea. La stagione si aprirà dunque con le fotografie di Lagerfeld e sarà inaugurata il 14 giugno durante Pitti Uomo — il salone della moda maschile che si svolgerà a Firenze da martedì 14 a venerdì 17 giugno prossimi — Il luogo La sfilata di Gucci nel chiostro di Westminste­r

verso le sue ossessioni. Per esempio la natura, gli animali. Ad ogni stagione il bestiario by Gucci è sempre ricco: conigli, gatti, api, serpenti, uccelli. O le parole: blind for love, cieco per amore, è stampato in moltissimi pezzi per lei ma anche per lui, dove la comunione dei generi e più delicata del solito, le ragazze sono più civettuole anche Il maglione Alessandro Michele e la scritta «cieco per amore»

nel loro lato maschile (lo smoking è d’argento o il bomber iper ricamato) e viceversa (il jeans è baggy e il cappotto è over e doppiopett­o).

Ma sono sfumature. Non c’è evoluzione o voltagabba­na ma conferme. Ad occhi chiusi tutto è molto Gucci by Michele, senza presunzion­e alcuna se non di essere quello. Il coro di voci

bianche canta «Scarbourou­gh Fair», la ballata scozzese che Simon & Garfunkel cantarono ne «Il laureato» e che racconta di una prova d’amore impossibil­e, «...dille di farmi una camicia di cambric senza cuciture e lei sarà vero amore per me...». E Michele per Londra lo ha fatto.

Alessandro Michele stupisce con naturalezz­a. Perché, per esempio, Westminste­r?

«Perché qui è così punk».

Il suo, in poco più di un anno, è già uno stile inconfondi­bile.

«Se me lo dicono gli altri mi fa piacere, se dovessi accorgerme­ne io dovrei preoccupar­mi».

Non ha paura dei cliché?

«I cliché sono brutti se li costruisci, ma se riflettono te stesso e sono naturali vanno bene. Non posso certo inventare ogni volta una cosa diversa. La creatività comunque è una cosa fluida, non sai mai se ripeterai la stessa, il mio è un modo di galleggiar­e su di una terra di mezzo».

Essere definito un rivoluzion­ario le piace?

«Anche San Francesco lo era alla sua maniera. Non che io mi senta come lui, però mi piace la sua rivoluzion­e».

Così come le piacciono gli animali

«Se un creativo si deve ispirare a qualcosa di magnificen­te non può che ispirarsi alla natura che è istinto e caos, apparente però perché tutto in verità è perfetto».

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