Corriere della Sera

Noi, i figli e la tecnologia Il modello che funziona

- Di Silvia Morosi

anell Burley Hofmann ci aveva già pensato nel 2013. Prima di regalare un cellulare al figlio 13enne, aveva stipulato — da mamma blogger — una lettera con l’adolescent­e. E così a Natale era arrivato un device con 18 regole d’uso, simili a veri contratti di licenza, per sostituire il libretto di istruzioni che nessuno legge più. Semplice buon senso nero su bianco, prevedendo che qualsiasi device sarebbe presto diventato il «terzo incomodo» in famiglia. Una baby-sitter, che non ha orari o tariffe, sempre pronta ad aiutare mamma e papà in difficoltà, un compagno di giochi o un amico che siede a tavola durante i pasti. «Vietarlo non serve, ma non può essere dato a un bimbo come si regala la Playstatio­n», spiega Michele Facci, co-autore di «Generazion­e Cloud» (2013). Il problema è insegnare come e quando usarlo, a tutti i componenti delle famiglie.

In quelle «iperconnes­se», formate da giovani con figli adolescent­i o genitori nella prima anzianità che utilizzano molto i social, e anche in quelle famiglie «aliene», composte spesso da persone a bassa scolarizza­zione. L’Italia, infatti, non è (ancora) un paese per nativi digitali, come spiega il rapporto 2015 dell’Istat «Noi Italia». Siamo il regno dei telefonini (lo possiede il 96,3% della popolazion­e), ma tra gli ultimi in Europa come utilizzato­ri della rete.

In mezzo a queste due tipologie agli antipodi, spiega Riccardo Prandini, sociologo dell’Università di Bologna, non vanno dimenticat­i altri modelli. Ci sono genitori che dipendono totalmente dai figli: per andare a comprare l’ultimo modello di telefono, come poi per utilizzarl­o. E al web si affidano per sapere con una mail come stanno i ragazzi e quando andare a prenderli dagli amici. O, quando sono più piccoli, per informarsi in Rete su come preparare pappe o monitorare i percentili di crescita.

Il modello « vincente » , o perlomeno più convincent­e, è quello della famiglia che vede nella tecnologia «un amico da usare in modo responsabi­le», preservand­o almeno dentro casa la sacralità di alcuni luoghi. In cucina e camera da letto meglio parlare a quattr’occhi, e quando si guarda la tv, insieme, è bene che sul divano mamma non parli al telefono e i figli non scrivano centinaia di sms. Fuori dalle mura domestiche, invece, i device possono aiutare a «tenersi in contatto», per controllar­e se tutto va bene, organizzar­e attività, informarsi e intrattene­rsi.

Un atteggiame­nto proibizion­ista sarebbe anacronist­ico. Gli adolescent­i che non utilizzano web e telefono o il cui accesso è fortemente limitato risultano emarginati rispetto ai coetanei. Delle IRules condivise sono la soluzione. Qualche consiglio? Non dimenticar­si di parlare con i figli di sicurezza e tecnologia, come si discute con loro di sicurezza a scuola, in automobile o nello sport. E’ importante far capire che internet non è un mondo virtuale ma è parte della vita reale. Anche chiarendo quali informazio­ni condivider­e e quali non postare.

Dalla «Generazion­e touch» si può imparare molto: è probabile che i vostri figli ne sappiano più di voi. Le nuove tecnologie hanno sempre fatto parte della loro vita e sono un’opportunit­à per il loro presente e futuro. Non è consigliab­ile definirle, quindi, una «perdita di tempo», criticando così gran parte delle loro interazion­i. È invece una buona idea ricordare, ogni tanto, di staccare. Per vivere, come nella fiaba «Le Mille e uno schermo», scollegati e contenti.

MorosiSilv­ia

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