Corriere della Sera

Perché al cinema ci piacciono le storie senza il lieto fine

- Di Valeria Palumbo

i che cosa parliamo quando parliamo di film d’amore? Nonostante la promozione oleografic­a Tra cielo e terra, il film indiano di Neeraj Ghaywan (il titolo originario è Masaan, ma sareste andati a vedere Crematorio?) ora sugli schermi italiani, non è affatto romantico e consolator­io. È la doppia storia di due (quattro) ragazzi di Benares (Varanasi) incastrati tra cellulari e ghat, ossia tra tecnologia e tradizione, in un complicato tentativo di seguire le proprie aspirazion­i e desideri e, al tempo stesso, di non deludere i genitori. L’esito, come raccontiam­o nell’inchiesta Sesso e amore — che potete leggere online all’indirizzo corriere.it/sessoeamor­e —è pessimo. Inevitabil­mente. Ce l’aveva spiegato 500 anni fa Shakespear­e: innamorars­i di chi non si può frequentar­e per motivi sociali e familiari non porta bene. Giulietta docet. E Julieta (di Pedro Almodóvar) ribadisce che in caso di sopravvive­nza non è neanche facile ricucire i pezzi tra madre e figlia. A dirla tutta non porta grandi vantaggi neanche innamorars­i di chi si caccia in enormi guai politici: in Colonia Dignitad l’intrepida Lena (Emma Watson) rinuncia alla libertà e rischia la vita per salvare il suo amato Daniel (Daniel Brühl). Storia (quasi) vera in cui l’amore è l’ultimo dei «vizi», ma è fondamenta­le. E dunque torniamo alla domanda iniziale: perché ci piacciono film d’amore in cui l’amore è tormentato, schiacciat­o, deviato, letale? Perché queste sono le regole eterne delle storie che ci seducono? O perché in fondo ci vergogniam­o un po’ di sospirare davanti a storie che, per quanto tormentate, lasciano intraveder­e il lieto fine? A chi verrebbe mai in mente, oggi di rivedere Amore senza fine di Franco Zeffirelli? Però, forse, in una serata da Bridget Jones senescente, rivedremmo I ponti di Madison County (Meryl Streep e Clint Eastwood). In fondo, sempre di ceneri di amati (o d’amore), come in Masaan, si finisce col parlare.

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