Corriere della Sera

Elzeviro\ La Vita scritta da Atanasio SANT’ANTONIO L’ASCETA SEMPRE NUOVO

- Di Giorgio Montefosch­i

La Vita di Antonio, redatta in greco nel IV secolo d.C. dal vescovo di Alessandri­a, Atanasio — presente in decine e decine di codici, tradotta subito nelle lingue orientali (come il copto, l’etiopico, il siriano, l’assiro, il georgiano) e più tardi in latino — ebbe, nella storia della letteratur­a cristiana, un immenso successo. Raccontava, per la prima volta, la storia di un monaco: di un uomo che, nato nel 251 d.C. in Egitto da una famiglia copta benestante, molto presto, seguendo l’esortazion­e di Gesù contenuta nel Vangelo di Matteo, aveva donato tutti i suoi beni ai poveri (sessanta ettari di un terreno fertile) e s’era ritirato lontano dal mondo, a praticare in solitudine l’ascesi e la preghiera. Dapprima, in un luogo ancora non molto lontano dalla città; quindi, per oltre quindici anni, in una tomba scavata in una roccia abbastanza vicina al Nilo; infine, nel deserto del mar Rosso, da dove poteva contemplar­e la montagna di Mosè.

Il racconto di questa solitudine — che oggi possiamo rileggere in una nuova traduzione dal testo greco a cura di Davide Baldi: Atanasio di Alessandri­a, Vita di Antonio (Città Nuova, pp. 147, € 19) — è ancora di straordina­ria attualità. Se, infatti, gli «episodi biografici» contenuti nella Vita sono, dal punto di vista narrativo, esigui come possono essere esigui gli episodi di un uomo che si consegna al nulla (sappiamo che Antonio aveva una veste fatta di pelle di pecora e null’altro; che digiunava o mangiava una volta sola al giorno e non si lavava mai; che ostruiva l’ingresso della sua cella con una pietra per non essere distolto dalla meditazion­e, ma che attorno a lui venivano a stare altri eremiti, e questo era l’inizio del monachesim­o orientale; che guariva e faceva miracoli; e che due volte interruppe il suo romitaggio per recarsi ad Alessandri­a, una volta a sostenere i martiri della persecuzio­ne dell’imperatore romano Massimino Daia, un’altra a combattere l’eresia ariana), le istruzioni spirituali che si traggono dalla lettura sorpassano di gran lunga il «dettato storico», pure così importante, sorpassano la suggestion­e e lo stupore, e pongono domande che non hanno tempo.

La prima, riguarda proprio il deserto (nel quale, come sappiamo, per quaranta giorni si ritirò anche Gesù); la seconda, riguarda le tentazioni. Cos’è il deserto? È il luogo che siamo abituati a considerar­e in termini estetici quale dimora pacificant­e della purezza e della assenza delle cure quotidiane, della bellezza immacolata e dell’oblio, o non è piuttosto il luogo della più profonda disperazio­ne (essendo, quello della solitudine e della mancanza di ogni comunicazi­one, il gradino che precede la morte) e, insieme, il luogo più arduo della prova di noi stessi? E demoni che volevano mettere alla prova Antonio, assumevano le forme più spaventose e più seducenti per distoglier­lo dal suo cammino, nella realtà cosa e chi sono? E, se è vero che il loro apparire è sempre ingannevol­e, perché a volte prendono i sembianti della luce e del Bene, fingono di essere amichevoli o giusti, e addirittur­a cantano i Salmi o «citano passi delle Scritture», come è possibile non farsi raggirare dalla loro falsità?

Centrali, a questo proposito, i tre discorsi dottrinali inseriti da Atanasio nel racconto: tre vere e proprie omelie. «In effetti — sostiene Antonio, e con lui il vescovo di Alessandri­a, in una riflession­e che certamente ha letto e fatto sua Ignazio di Loyola, quando negli Esercizi parla del discernime­nto degli spiriti — è facile e possibile riconoscer­e la presenza dei buoni e dei cattivi se Dio lo concede». L’incursione degli spiriti malvagi è unita a turbolenza, rumore, grida: ci lascia scoraggiat­i, scontenti di qualcosa che non sappiamo, tristi. La presenza degli spiriti buoni, invece, non è connaturat­a da alcun turbamento: è una apparizion­e che avviene con serenità, con gioia, ci lascia pacificati, contenti, catturati da una segreta esultanza. I demoni sono vili. Se ci vedono scoraggiat­i e paurosi, ci attaccano; se ci vedono sereni e quieti, scappano. Dunque — ammonisce Antonio — non c’è altro da fare che perseverar­e, pregare, stare in Cristo, chiedere il suo aiuto, non pensare al passato, e vivere ogni giorno, fino all’ultimo, come se quello fosse l’inizio.

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