Le due capitali in cerca di futuro
Nella macchina amministrativa un’eredità pesante e inefficiente I compromessi da evitare
Roma
che fa i conti con le inefficienze, Milano che ha fretta di ripartire.
Non s’illudano. Con quella macchina amministrativa obesa, inefficiente, appesantita dalle clientele sindacali e politiche, infarcita di rendite di posizione e talvolta non insensibile a interessi esterni, tutti dovranno fare i conti. Perciò suggeriamo ai candidati un rapido ripasso sui tre anni passati.
Sarebbe ingeneroso non riconoscere che i guai di Ignazio Marino sono cominciati quando ha preso di petto la macchina amministrativa. Prima lo scontro con i vigili urbani: seimila e potentissimi. Una guerra di logoramento andata avanti un anno e mezzo, culminata con la clamorosa defezione dì massa della notte di San Silvestro del 2014. E conclusa con l’unico esito possibile: nessun vigile ci ha rimesso il posto. Mentre il sindaco ha fatto le valigie. Non basta. La rotazione, sacrosanta, degli incarichi dei pizzardoni è naufragata miseramente grazie a una sentenza del tribunale che ha accolto un ricorso sindacale. Quindi l’altra sconfitta nella battaglia sul salario accessorio, che per prassi consolidata negli anni veniva, e ancora viene, distribuito a pioggia: alla faccia del Tesoro che l’ha dichiarata illegittima.
Poi c’è il capitolo degli apparati dirigenziali. Quando l’ex assessore alla mobilità Stefano Esposito parlò di amministrazione «compromessa», non si riferiva solo ai livelli più bassi. Citò anche il caso di una delibera per bloccare l’ingresso dei pullman turistici nel centro storico che uscì dagli uffici competenti scritta in modo da ottenere il risultato esattamente contrario alle istruzioni impartite. Una micidiale cartina al tornasole. Per non parlare degli appalti al rallentatore, degli affidamenti in perenne proroga, dei conflitti d’interessi… I trasporti sono al collasso: girano poco più della metà degli autobus a disposizione.
L’Atac è in coma. Le statistiche europee dicono che Roma è la più sporca fra le 32 capitali europee, nonostante un costo del servizio superiore del 51,9% (ha calcolato Confartigianato) alla media italiana. Il traffico è infernale: qui c’è il record mondiale del rapporto fra abitanti e mezzi a motore. Le periferie sono in condizioni inaccettabili. L’ombra della criminalità affaristica si è allungata su Ostia. E la linea C della metropolitana esibisce costi astronomici e ritardi equivalenti. Non si sa quando e se verrà completata.
Impensabile che in questo stato di cose non ci siano responsabilità dell’amministrazione. Quindi è impensabile che Roma si possa rimettere in piedi senza intervenire duramente sull’amministrazione. Così anche sulle municipalizzate dove il partito trasversale, nel quale si saldano interessi politici e sindacali, quando non affaristici, dispiega tutta la propria incontrastata potenza.
Tutti, dicevamo, dovranno farci i conti. Ma ci sono due modi. Il primo è quello del compromesso. Pochi rischi, zero grane, tanto consenso, nessun cambiamento. Il secondo è l’esatto contrario: ristabilire le regole, costi quel che costi. Ristabilirle negli uffici capitolini, dove lavorano 24 mila persone, e nelle partecipate, dove ce ne sono altri 37 mila. Molti rischi, un sacco di grane, zero consenso (nel Comune, forse, ma tantissimo fra i cittadini), cambiamenti radicali. Finalmente. Quello che serve alla capitale d’Italia per non doversi più vergognare. Ma chi è pronto per questo passo?