La chirurgia è efficace ha le giuste indicazioni
La sala operatoria si sta dimostrando un’opzione valida. La prassi corretta prevede però la presa in carico del paziente da parte di un centro obesità, dove un’équipe deve effettuare diverse verifiche non solo per scegliere la tecnica adatta, ma anche per
più spesso. Un’opinione condivisa da Nicola Di Lorenzo, presidente della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattie metaboliche ( Sicob): « Nel nostro Paese vengono operati meno pazienti di quanti sarebbe opportuno, soprattutto per carenza di risorse: ci sono circa 150 strutture specializzate, ma sono mal distribuite sul territorio e più rare al centro-sud, dove invece l’obesità è più diffusa. Le liste d’attesa sono lunghe, servirebbero perciò più centri per la cura dell’obesità dove trovare team multidisciplinari che possano consigliare la strada più giusta per ciascun pazien- te». L’analisi sul British Medical Journal sottolinea che imbarazzo, scarsa autostima e insuccessi ottenuti con diete e simili bloccano molti dal chiedere informazioni sull’opzione chirurgica.
«C’è poi anche un ragionevole timore all’idea di entrare in sala operatoria, ma il registro italiano su 60mila interventi mostra che anche tenendo conto dei casi più complessi la mortalità è dello 0.17 per cento, inferiore a quella per calcolosi alla colecisti», osserva Di Lorenzo. «Molti medici hanno pregiudizi nei confronti della bariatrica, d’altro canto ci sono anche pazienti molto motivati che vanno direttamente dal chirurgo — interviene Paolo Sbraccia, presidente della Società Italiana dell’Obesità (Sio) —. La prassi corretta prevede però la presa in carico da parte del centro obesità, dove un’équipe deve operare valutazioni non solo per scegliere l’intervento adatto, ma soprattutto per far capire ai pazienti che non esistono traguardi facili e l’operazione non è la fine, ma l’inizio di un percorso. Essere seguiti dopo la chirurgia è fondamentale per evitare di riprendere peso e scongiurare deficit nutrizionali: l’obesità è una malattia cronica e anche dopo operato il paziente resta una persona che ha necessità di controlli».
«Detto ciò», spiega Di Lorenzo, «almeno la metà dei pazienti perde peso a sufficienza, con alcuni interventi si arriva all’80 per cento. Il diabete migliora nel 90 per cento dei casi, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, il reflusso gastroesofageo traggono vantaggio in oltre 7 casi su 10; ci sono effetti positivi sulle apnee notturne, sull’incontinenza da stress nelle donne, sulle patologie articolari; la probabilità di tumore si riduce di quattro volte, di cinque quella di malattie cardiovascolari. La vita media di un obeso operato si allunga di circa sei anni e migliora in qualità: tutti i pazienti raccontano di sentirsi meglio, di essere tornati alla vita di relazione, di non avere più i tanti intoppi che rovinavano le loro giornate, dalla difficoltà ad allacciarsi le scarpe al fiatone salendo pochi gradini».
Inoltre, sebbene la chirurgia venga proposta quando non ha funzionato tutto il resto, c’è ormai relativa certezza che il bisturi sia l’unica strada realmente efficace per mantenere la perdita di peso nel lungo periodo. Per capire che la sala operatoria può e deve essere un’opzione servirebbe comprendere che l’obesità è davvero una malattia: il 21 maggio scorso, in occasione della Giornata Europea dell’Obesità, tutti gli esperti hanno ribadito la necessità di definirla una patologia cronica. «L’obeso non è un simpatico ciccione che mangia troppo, ma una persona con un serio problema I timori e lo stigma Insuccessi nel dimagrire e scarsa autostima impediscono perfino di chiedere informazioni
di salute — dice Di Lorenzo —. Sono considerate malattie le tante conseguenze dell’obesità, dal diabete all’artrosi, e non l’obesità in sé: un paradosso che contribuisce a ridurre l’accesso alla chirurgia e aumenta il senso di colpa del paziente, che spesso pensa di non essere capace di dimagrire o di essere “sbagliato”. Non è così, l’obesità è una patologia e come tale va trattata con tutte le armi che abbiamo».