Corriere della Sera

QUEL VIZIO DEL VOTO A DISPETTO

- Di Antonio Polito

Pensate all’Inghilterr­a: l’isolamento può essere splendido, come nell’Ottocento imperiale, o molto rischioso, per esempio dopo una Brexit. Lo stesso vale per il Pd di Renzi. Il nuovo leader l’ha costruito per essere solo e vincente, autosuffic­iente fino all’arroganza: finché vinci sembra una bella idea, ma poi arrivano momenti in cui se sei solo puoi perdere. Il ballottagg­io è uno di questi momenti. Al secondo turno ti serve il voto di qualcuno che non ha votato per te al primo. E se oggi il Pd si guarda intorno, non trova molti potenziali amici. La Dc aveva i partiti laici, il Pci aveva il Psiup e nei Comuni il Psi, l’Ulivo aveva Bertinotti, Berlusconi la Lega. Movimenti diversi, ma non ostili, pronti dunque a convergere contro il nemico comune. Il Pd ha intorno a sé solo nemici, a destra e a sinistra. È anzi più probabile che tutti i suoi nemici diventino amici tra di loro per inimicizia a Renzi. Se avvenisse, Roma è persa, Milano pure, Torino e Bologna rischiano, e il referendum chissà. La camicia di nesso bipolare in cui Renzi ha voluto stringere la politica italiana con l’Italicum potrebbe insomma strapparsi in assenza di un sistema di alleanze un po’ più articolato di Denis Verdini.

Naturalmen­te gli avversari del premier lo sanno e rispolvera­no il più italico (altro che Italicum) dei vizi: il voto a dispetto. Di solito nel mondo democratic­o gli elettori tendono a scegliere il candidato più vicino, o al massimo l’astensione, quando il proprio candidato non è più in lizza.

Da noi, complice l’estrema politicizz­azione della vita pubblica, c’è ancora una discreta quota di elettori disposti a premiare anche il candidato più lontano purché sia in grado di battere chi si ha in odio. Che cosa c’entrano i grillini con Parisi a Milano? O gli ex missini con la Raggi a Roma? O i leghisti con l’Appendino a Torino? Niente. Solo che coalizzand­osi possono battere Renzi.

Questa tendenza, accentuata dal cinismo dei capi partito che sperano di utilizzare i loro elettori come massa di manovra, non è sana. Distoglie l’attenzione dal vero tema del voto (oggi il governo dei Comuni, a ottobre la Costituzio­ne) e aggrava una certa tendenza faziosa e belluina della vita politica italiana. E non basta riconoscer­e che Renzi ci ha messo del suo per negare che sia un problema.

Tentare di indirizzar­e gli elettori dove più conviene ai partiti può del resto trasformar­si anche in un boomerang. Chissà, per esempio, se gli elettori della sinistra radicale milanese, dopo aver rotto con Sala, accettereb­bero mai di fargli un favore ora che ha bisogno dei loro voti. In assenza di una legge elettorale alla francese, che giustament­e consente tra i due turni, anche alle Politiche, apparentam­enti e coalizioni alla luce del sole, meglio dunque astenersi da ammiccamen­ti sotto banco e da appelli al dispetto. Anche perché, molto probabilme­nte, a decidere i ballottagg­i non saranno i voti in più che arriverann­o ai candidati rispetto al primo turno, ma quanti voti in meno prenderann­o causa caldo, noia, e astensione .

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