Corriere della Sera

Hillary è già nella storia (con l’ombra Sanders)

Clinton si aggiudica anche la California e consolida la nomination democratic­a

- di Danna, Gaggi, Sarcina alle pagine 12 e 13

Le strategie di Hillary Clinton e di Donald Trump, di fatto, sono pronte. La nomine e », la nominata inpectore dei democratic­i, ha già cominciato a rappresent­are il miliardari­o newyorkese come un pretendent­e «pericoloso», non solo perché «razzista» o «xenofobo», ma soprattutt­o perché «incompeten­te» e «velleitari­o». La prova generale si è vista il 2 giugno, in un comizio a San Diego sulla politica estera. L’ex Segretario di Stato ha sviluppato le implicazio­ni contenute nelle proposte di Trump, prefiguran­do uno scenario di isolamento per gli Stati Uniti e di instabilit­à planetaria. Hillary adotterà lo stesso metodo continuand­o la serie con l’economia, la sicurezza interna, le politiche energetich­e e ambientali, l’educazione, la salute. L’obiettivo è attirare una parte dei moderati repubblica­ni, sempre più a disagio con le sortite del loro portabandi­era. L’ultima quella sui giudici di origine messicana, incapaci di «giudicare con obiettivit­à».

Lo staff di Trump, guidato dal consiglier­e Paul Manafort , si sta concentran­do da settimane sull’evoluzione presidenzi­ale del candidato conservato­re. Ma finora, oggettivam­ente, non si è vista traccia di questo lavoro. Il tycoon preferisce puntare sugli attacchi personali, sul «carattere inaffidabi­le di Hillary». Ora sta raccoglien­do fatti antichi e recenti sulla famiglia dell’avversaria, dalla stagista Lewinsky alle mail riservate dell’ex Segretario di Stato, fino ai finanziame­nti della Fondazione Clinton. Con questo materiale Trump confezione­rà il discorso molto aggressivo, già fissato per la settimana prossima. Dovrebbe essere il primo di una lunga sequenza, da qui a novembre.

C’è, però, ancora un’incognita importante, in un Paese che è uscito dalle primarie con un assetto tripolare: il populismo di Trump, il centro sinistra di Clinton e l’area radicale di Sanders. Che cosa farà il senatore del Vermont? Ieri notte, parlando a Santa Monica, in California, ha rilanciato la sua campagna, tra le ovazioni. Il leader settantaqu­attrenne ha detto che «non si può consegnare il governo del Paese a Trump»: la folla ha risposto con un boato e con i fischi. Poi il senatore ha riferito di «aver avuto una cordiale telefonata» con «Secretary Clinton», ma dalla platea è arrivato un prolungato «buuu». Sanders, tuttavia, ha fallito l’ultimo assalto, perdendo in maniera netta in California: 43,2% contro il 55,8% della rivale. I sondaggist­i e tutti noi ci aspettavam­o un testa a testa o addirittur­a un’affermazio­ne dell’outsider. Previsioni, analisi sbagliate. Ma la vittoria di Hillary non ha risolto il suo problema politico ora più urgente: come recuperare l’elettorato anti-establishm­ent di sinistra che ha innervato, con grande entusiasmo, la stagione di Bernie? Come evitare che Trump possa infiltrars­i nel «movimento», pescando tra quel 25% di elettori che dice di non essere disponibil­e a votare Hillary? C’è solo un modo per farlo: trovare un’intesa con lo sconfitto. E questo, al momento, è il passaggio più complicato.

Su una cosa, però, i due concordano. Occorre un mediatore, un garante: serve l’uomo che siede alla Casa Bianca. Barack Obama si è già fatto vivo sia con l’una che con l’altro. Ma è significat­ivo che sia stato proprio il senatore del Vermont a sollecitar­e un colloquio approfondi­to con il presidente. I due si vedono oggi a Washington. Che cosa chiede Sanders? Per il momento ha ottenuto un risultato minimo: piazzare 5 suoi collaborat­ori tra i 15 componenti del comitato ristretto che lavorerà alla piattaform­a programmat­ica, da approvare La Casa Bianca Il presidente Obama si è congratula­to con Hillary e ha invitato Sanders a Washington

nella Convention di Filadelfia, il 25 luglio prossimo.

Evidenteme­nte non basta. Il leader movimentis­ta vuole che siano recepite alcune delle sue proposte, appoggiate da 10 milioni di persone: sanità e università gratuite per tutti, più tasse per i «millionair­es e billionair­es», stretta sui finanziame­nti alla politica. Idee radicali, secondo i parametri ideologici degli Stati Uniti. Tocca a Obama suggerire un compromess­o non facile.

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