La pittrice pasionaria sfida il casellante filosofo
Il ballottaggio di Bologna è tra due politici anomali e tra loro molto diversi: Virginio Merola, sindaco pd, era casellante quando la sfidante Lucia Borgonzoni, leghista, andava all’asilo. Laurea in Filosofia, ama cambiare idea. Lei, un passato nei centri sociali, ha studiato alle Belle arti e ama dipingere.
In principio fu la mamma. Il che, potrebbe forse dire qualche maligno, starebbe a spiegare perché il papà ieri abbia detto che Lucia va bene, ma lui Matteo Salvini proprio non lo sopporta. Dunque non voterà nemmeno la figlia. La fede leghista di Lucia Borgonzoni, quarant’anni il prossimo 18 settembre e figlia di genitori ora separati, è a quanto pare un regalo della mamma. Amore filiale, trasformato in fede incrollabile nel Carroccio.
Mai un tentennamento. Neppure quando un suo amico ha postato su Facebook una vecchia foto che la ritrae con un ragazzo in un centro sociale: subito doppiato su twitter da un tizio che lancia l’hashtag #sindachessadellafattanza. Lei dice di non rinnegare quel periodo, ma poi pianta il paletto: «Già allora», dice a Repubblica, «lo sapevano tutti che ero leghista». Anche se nessuno poteva immaginare che il 19 giugno 2016 avrebbe conteso in un imprevedibile ballottaggio la poltrona di sindaco di Bologna a Virginio Merola.
Eppure tutto può sembrare, tranne la storia di una dura e pura. Basta leggere il sintetico curriculum che c’è nel sito del consiglio comunale, dov’è entrata cinque anni fa. Di più, del resto, ufficialmente non si sa. Tocca accontentarsi: Lucia Borgonzoni non ha aderito alla campagna per la trasparenza Saichivoti. Sappiamo che è laureata all’Accademia delle belle arti di Bologna «con tesi in Fenomenologia degli stili». Il lavoro successivo? Dipingeva. Qualche mostra qua e là. E poi «come interior designer ha arredato vari locali pubblici». Tutto questo, si presume, prima e durante la folgorazione sulla via di Pontida, sfociata nell’incarico di responsabile del tesseramento emiliano, quindi in quello di consigliere provinciale e infine di consigliere comunale. Ma una volta approdata negli organici leghisti l’artista che è in lei che una volta frequentava i centri sociali deve aver subito una qualche trasformazione. Eccola allora proporre di mettere un tetto ai negozi degli stranieri. Chiedere per i commercianti extracomunitari l’esame di lingua italiana. Pretendere il censimento degli islamici praticanti in città. Fino a domandarsi, dopo un efferato femminicidio: «È più civile uno Stato che ha tolto la pena di morte o uno Stato che toglie la vita a chi l’ha strappata brutalmente a un’innocente?». Quanto all’immigrazione, «queste persone andrebbero rimandate a casa loro», dice a Lilli Gruber. E davanti all’interrogativo: «Allora fanno bene gli austriaci a chiudere le frontiere?», non fa una piega: «Dovremmo chiuderle anche noi». Il massimo succede però in uno dei
campi nomadi che vorrebbe sgombrare, e dove una mattinata si presenta con alcuni colleghi di partito. Ma questo non impedisce a una giovane rom piccola di statura ma rapida di mano, di assestarle uno sganassone.
Che sia iniziata proprio lì la sua scalata? Mai una donna leghista era arrivata al ballottaggio a Bologna. In un contesto dove in passato il celodurismo non ha risparmiato esibizioni di sessismo tanto ridicole quanto inqualificabili. Come quella volta che un consigliere leghista di San Pietro Terme omaggiò il sindaco donna del paese con un paio di slip di pizzo su cui c’era scritto: «Fammi una Lega...». Vero è che il 22 per cento e spiccioli di Lucia Borgonzoni vale appena 38 mila voti in uno scenario di avvilente disaffezione: alle urne domenica c’è andato appena il 59 per cento dei bolognesi. Ma tant’è. Mamma sarà lo stesso orgogliosa.
Il censimento Ha scoperto il Carroccio grazie alla mamma Ora propone il censimento degli islamici in città