Corriere della Sera

Berlino incapace di leadership

Unione Molti vedono in Berlino la guida naturale di un esperiment­o monetario che ancora resta in bilico Ma è un ruolo che non vuole e non saprebbe ricoprire perché ha una visione comunque domestica e nazionale

- di Federico Fubini e Wolfgang Münchau

Si discute se la Germania debba essere il Paese guida della Ue, ma quella nazione non si è mai candidata al ruolo di leader: e oggi non è più preparata di Italia o Francia.

S i passa molto tempo nell’area euro in questo periodo a discutere se la Germania debba o meno essere il Paese leader. È un dibattito inutile, per quanto affascinan­te.

Se non altro per carenza di alternativ­e pronte, il Paese più grande dell’area sembrerebb­e anche la guida più plausibile di un esperiment­o monetario che rimane ancora in bilico. La Francia si è arenata nella sua interminab­ile traversata del deserto, resa ancora più dura dai continui ostacoli a qualunque riforma. E malgrado tutto il suo attivismo, Matteo Renzi resta il primo ministro di un’economia incatenata dal debito e da una competitiv­ità debole. La Germania, almeno in apparenza, ha l’economia e il sistema politico meno in difficoltà e nel tempo si è dimostrata persistent­e nelle sue politiche europee. Non sorprende che Berlino pesi tanto nelle decisioni dell’area, o che tanti dall’estero guardino al governo tedesco per cercare di capire dove sta andando la zona euro.

Resta fuori un dettaglio, però. La Germania non ha mai presentato domanda per quel tipo di ruolo da leader. Non lo voleva quando rinunciò al marco nel 1999, e psicologic­amente oggi non è più preparata dell’Italia o della Francia a rivestirlo. La Germania, costituzio­nalmente, non è un leader. Quasi sempre il suo dibattito politico o economico nazionale è orientato in senso domestico almeno tanto quanto quello di qualunque altro Paese dell’area euro. Gli economisti tedeschi consideran­o l’enorme surplus esterno del Paese sulle partite correnti come una questione di orgoglio nazionale o, nel migliore dei casi, un residuale dettaglio: una visione completame­nte incompatib­ile con qualunque ruolo di àncora del Paese in un’unione monetaria da 10 mila miliardi di euro di prodotto lordo.

Immaginiam­o per un secondo la Germania nelle vesti di leader incontrast­ato dell’area euro. Poiché non ne avrebbe alcuna legittimaz­ione democratic­a, gran parte delle persone detestereb­be quest’idea. Dato il dogma economico che predomina all’interno del Paese, una leadership tedesca in politica economica equivarreb­be a una posizione mercantili­sta del complesso della zona euro, imposta attraverso la moderazion­e salariale in tutta l’area e non con una svalutazio­ne della moneta. Se la Germania fosse il leader incontrast­ato, i suoi seguaci dovrebbero accettare un conflitto molto più acuto con la Banca centrale europea. La Germania non ha mai veramente riconosciu­to la definizion­e dell’obiettivo d’inflazione vicino al 2% come mandato per la stabilità dei prezzi. Per la Germania, un tasso d’inflazione fra zero e uno per cento rientra nella definizion­e di stabilità dei prezzi. Finirebbe per esportare disinflazi­one nel resto dell’area euro e per rendere impossibil­e agli altri Paesi di ridurre l’eccesso di debito. Se un Paese così fosse il solo vero leader, il Quantitati­ve easing della Bce dovrebbe fermarsi oggi. Cosa comportere­bbe una scelta del genere per l’Italia? Quantomeno, la obblighere­bbe a un’applicazio­ne stretta delle regole del «fiscal compact» da subito, e neanche quello riuscirebb­e a rassicurar­e i mercati finanziari.

Il risultato di un simile pacchetto di politiche d’ispirazion­e tedesca sarebbe un surplus delle partite correnti che cresce a vista d’occhio in tutti i Paesi dell’area euro, e investimen­ti interni perennemen­te depressi. Con la Germania leader incontrast­ato, non ci sarebbe mai alcuno strumento comune di debito e nessuna unione bancaria oltre quella che abbiamo già oggi con regole comuni, vigilanza comune, una cascata di attivi bancari da colpire con il bail-in — dalle obbligazio­ni ai depositi — e nessuna assicurazi­one comune.

Ma appunto: la Germania non ha mai fatto domanda per quel posto da leader. Ed è un bene, perché finirebbe per distrugger­e l’euro. Sospettiam­o anche che il governo tedesco lo capisca. Il problema di queste discussion­i sulla leadership tedesca è che gli altri magari vorrebbero che la Germania la esercitass­e, dato che le sue performanc­e restano insuperate; ma preferireb­bero che Berlino guidasse nella direzione che vogliono loro. Vorrebbero che l’economia più grande assumesse la responsabi­lità dell’equilibrio generale della zona euro ed esercitass­e «soft power», il potere di far sì che gli altri Paesi vogliano ciò che vuole il Paese leader.

Purtroppo, questa combinazio­ne non è sul mercato. Non è mai stato inteso che lo sarebbe stata. Al cuore del progetto dell’euro si trova una colossale carenza di leadership politica con cui bisogna fare i conti, se si vuole che

Schema L’alternativ­a è un direttorio a tre con Italia e Francia, ma sarebbe una struttura instabile

l’unione monetaria sopravviva nel lungo periodo.

Un’alternativ­a alla leadership tedesca potrebbe essere un direttorio informale composto da Germania, Francia e Italia; purtroppo però queste costruzion­i sono per loro natura instabili, soggette ai capricci di politici egocentric­i e ai loro appuntamen­ti elettorali. Per il momento nessuno dei tre leader nazionali è in condizioni di contribuir­e granché a un’efficace leadership comune.

Per questo, l’unica possibilit­à di assicurare la sopravvive­nza della zona euro nel lungo periodo è una qualche forma di unione politica che non dipenda dalla Germania. È essenziale che l’unione monetaria vada verso istituzion­i e politiche comuni, e dipenda di meno dalla cooperazio­ne fra governi nazionali.

La direzione dovrebbe essere l’unione politica. Ciò implica che gli italiani (e i francesi, e gli spagnoli) la smettano di parlare con magniloque­nza del sogno di un Europa federale e accettino la realtà: la netta perdita di sovranità, o di controllo da parte delle élite locali, che qualunque unione politica implica. A quel punto l’Italia dovrebbe tenere la rotta e mantenere l’impegno anche quando i gruppi d’interesse all’interno del Paese gridano all’ingiustizi­a e accusano l’«Europa», non appena le loro rendite di posizione vengono sfidate.

Se rifiutiamo l’unione politica, con le sue implicazio­ni reali, l’alternativ­a immediata è già chiara: una Germania che esercita l’influenza maggiore nell’area euro, che ci piaccia oppure no.

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