Il palinsesto della Reggia piemontese Mostre e visite notturne, l’estate della Venaria
metabolizzare il trauma dall’esperienza bellica novecentesca, si è necessariamente condannata anche al distacco dalla sostanza drammaticamente realistica della politica: e anche per questa via al distacco, alla fine, dalla politica stessa. Si è condannata a non sapere più che cosa sia la politica. Per secoli infatti la politica ha appreso dalla storia — la quale per tanta parte è proprio storia di contrapposizioni, di scontri e di guerre — la complessità dei fattori in campo e il possibile variare delle loro posizioni, la consapevolezza della specificità di ogni accadimento e l’importanza di valutare i rischi, l’esigenza della cautela, ma insieme anche il senso vivo del carattere cruciale degli interessi, delle poste in gioco irrinunciabili.
A lungo altresì, attraverso la conoscenza di un passato scandito inesorabilmente dalla guerra, dal dare e ricevere la morte, la storia è servita a impartire alla politica, con la consapevolezza della tragicità sempre incombente del estate 2016 alla Reggia di Venaria comincia sull’onda del successo di una mostra appena terminata: L’arte della bellezza. I gioielli di Gianmaria Buccellati, che dalla fine di marzo ha collezionato 124.482 visitatori. E punta su tre esposizioni che, in qualche modo, sembrano voler esaltare i caratteri peculiari della Reggia, quelli che ne hanno decretato il successo (555.307 visitatori nel 2015, incassi per 3.672.139 euro, +6 %).
Sculture moderne (curata da Luca Beatrice) offre così fino al 29 gennaio un percorso attraverso gli spazi scandito dalle opere (17 in tutto) di maestri come Giacomo Manzù, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Igor Mitoraj, Francesco Messina, Giuliano Vangi. Mentre Meraviglie degli Zar. I Romanov e il Palazzo Imperiale di Peterhof (a cura di Elena Kalnitskaya, dal 16 luglio al 29 gennaio) propone invece Carenza congenita La nostra esperienza democratica, a differenza di quella degli Usa, ha rigettato la dimensione della potenza militare
Fatto sta che dopo il fortissimo affievolimento del nesso fra la storia e la politica in relazione al rifiuto radicale della dimensione della guerra, l’Europa non riesce più a credere che per lei possano esistere nemici. Ovvero — per dirla in un’altra maniera — dà troppe volte l’impressione che per lei non esistano più cose per difendere le quali meriti di avere dei nemici. La categoria del «nemico», così consustanziale alla dimensione del «politico», sembra insomma essersi dileguata anch’essa, risucchiata dalla più vasta scomparsa della storia. Sempre sperando, naturalmente, che questa medesima storia non si diverta a preparare qualche futura, beffarda smentita. (...)
È tempo di concludere, e vorrei farlo con un’ultima considerazione generale che contiene una domanda. La democrazia si è identificata in Europa con la situazione sociale definita dal declino apparentemente irreparabile della politica e della statualità, dal prevalere di una mentalità centrata in misura straripante sulla soggettività e sulle pulsioni che ad essa provengono da un contesto poverissimo di valori «alti», permissivo, opulento, in grado di concepire la dimensione collettiva solo nei limiti della convenienza. Da un punto di vista più strettamente e tradizionalmente storico-politico si potrebbe poi dire che in complesso l’esperienza europea della democrazia — a differenza per antonomasia di quella degli Stati Uniti — si è tutta svolta in assenza, e anzi rifiutando, la dimensione della «potenza».
Ma lo ha fatto, o se si vuole ha potuto farlo, perché nel caso dell’Europa continentale la vittoria della democrazia, essendo stata per così dire regalata o in certo senso imposta all’Europa stessa dall’evento negativo della sua complessiva sconfitta nella Seconda guerra mondiale, da allora e per molti decenni è vissuta protetta dalla «potenza» degli Stati Uniti. La democrazia europea, insomma, non è fiorita nel vuoto o contando sulle sue forze: al di là dell’Atlantico c’era chi in qualche modo vegliava su di lei.
Per mille ragioni questa situazione sembra però ormai volgere alla fine, forse è già finita. Mille motivi — tra cui quello molto reale della comparsa di imprevedibili e feroci nemici ai suoi confini — indicano che forse per la democrazia europea sta giungendo l’ora di un appuntamento fatale con la storia: un appuntamento nel quale mille indizi sembrano indicare che possa riacquistare tutta la sua antica crucialità la categoria tanto a lungo esorcizzata della guerra. La domanda naturalmente senza risposta è se, una volta giunti a quell’appuntamento, sapremo e potremo essere comunque all’altezza dell’ora restando padroni del nostro futuro. O se invece i fatti decideranno per noi, ma prodotti da altre volontà che non saranno le nostre. una selezione di oggetti (preziosi, curiosi, spesso incredibili) provenienti dal primo palazzo costruito da Pietro il Grande sulle rive del Mar Baltico, vicino a San Pietroburgo, oggetti acquistati durante il Grand Tour oppure direttamente commissionati agli artisti e artigiani locali. Tutto, dunque, in perfetto stile Venaria.
Ma dall’8 al 18 luglio, all’interno della Cappella di Sant’Uberto, troverà spazio anche un’esposizione dei disegni di Yuko Shimizu: opere grafiche attraverso le quali l’artista giapponese rilegge, in uno stile in bilico tra modernità e tradizione (strizzando allo stesso tempo l’occhio a Aubrey Beardsley, 1872-1898, grande illustratore del tempo di Oscar Wilde) la favola noir Un cigno selvatico del Premio Pulitzer Michael Cunningham. Titolo della mostra, nata in collaborazione con La Milanesiana 2016 e la Galleria Poggioli e Forconi (allestimento di Luca Volpatti), La vanità e le fiabe tra arte e letteratura.
A fare da ulteriore corollario alle tre mostre di questa Estate a Corte (che tra le altre cose proporrà un Galà di Ferragosto, performance di musica elettronica e le consuete visite guidate al Parco) una serie di eventi collaterali, destinati a far ulteriormente riscoprire la Reggia: aperture notturne con tanto di proiezioni di videomapping (più o meno in stile barocco) direttamente sulla facciata della Galleria Grande (dal primo luglio al 13 agosto); incontri con gli autori e i concerti (da Kamel Daoud a Nicola Piovani); Altissima povertà, coreografia inventata e curata da Virgilio Sieni. A cui si aggiungeranno una serie di mostre già in corso: Fatto in Italia (fino al 10 luglio); Il Mondo di Steve McCurry (fino al 25 settembre), Giuseppe Penone con la sua scultura-verde Anafora (fino al 31 dicembre) e Le Belle arti che, sempre fino al 31 dicembre, presenterà una raccolta di quaranta tesori della Accademia Albertina di Torino, cominciando con due Allegorie firmate da Paolo Veronese. Amor fati. Pavese all’ombra di Nietzsche di Francesca Belviso (Aragno, pp. 184, 25). Introduzione di Angelo d’Orsi