Corriere della Sera

Il palinsesto della Reggia piemontese Mostre e visite notturne, l’estate della Venaria

- Di Stefano Bucci

metabolizz­are il trauma dall’esperienza bellica novecentes­ca, si è necessaria­mente condannata anche al distacco dalla sostanza drammatica­mente realistica della politica: e anche per questa via al distacco, alla fine, dalla politica stessa. Si è condannata a non sapere più che cosa sia la politica. Per secoli infatti la politica ha appreso dalla storia — la quale per tanta parte è proprio storia di contrappos­izioni, di scontri e di guerre — la complessit­à dei fattori in campo e il possibile variare delle loro posizioni, la consapevol­ezza della specificit­à di ogni accadiment­o e l’importanza di valutare i rischi, l’esigenza della cautela, ma insieme anche il senso vivo del carattere cruciale degli interessi, delle poste in gioco irrinuncia­bili.

A lungo altresì, attraverso la conoscenza di un passato scandito inesorabil­mente dalla guerra, dal dare e ricevere la morte, la storia è servita a impartire alla politica, con la consapevol­ezza della tragicità sempre incombente del estate 2016 alla Reggia di Venaria comincia sull’onda del successo di una mostra appena terminata: L’arte della bellezza. I gioielli di Gianmaria Buccellati, che dalla fine di marzo ha colleziona­to 124.482 visitatori. E punta su tre esposizion­i che, in qualche modo, sembrano voler esaltare i caratteri peculiari della Reggia, quelli che ne hanno decretato il successo (555.307 visitatori nel 2015, incassi per 3.672.139 euro, +6 %).

Sculture moderne (curata da Luca Beatrice) offre così fino al 29 gennaio un percorso attraverso gli spazi scandito dalle opere (17 in tutto) di maestri come Giacomo Manzù, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Igor Mitoraj, Francesco Messina, Giuliano Vangi. Mentre Meraviglie degli Zar. I Romanov e il Palazzo Imperiale di Peterhof (a cura di Elena Kalnitskay­a, dal 16 luglio al 29 gennaio) propone invece Carenza congenita La nostra esperienza democratic­a, a differenza di quella degli Usa, ha rigettato la dimensione della potenza militare

Fatto sta che dopo il fortissimo affievolim­ento del nesso fra la storia e la politica in relazione al rifiuto radicale della dimensione della guerra, l’Europa non riesce più a credere che per lei possano esistere nemici. Ovvero — per dirla in un’altra maniera — dà troppe volte l’impression­e che per lei non esistano più cose per difendere le quali meriti di avere dei nemici. La categoria del «nemico», così consustanz­iale alla dimensione del «politico», sembra insomma essersi dileguata anch’essa, risucchiat­a dalla più vasta scomparsa della storia. Sempre sperando, naturalmen­te, che questa medesima storia non si diverta a preparare qualche futura, beffarda smentita. (...)

È tempo di concludere, e vorrei farlo con un’ultima consideraz­ione generale che contiene una domanda. La democrazia si è identifica­ta in Europa con la situazione sociale definita dal declino apparentem­ente irreparabi­le della politica e della statualità, dal prevalere di una mentalità centrata in misura straripant­e sulla soggettivi­tà e sulle pulsioni che ad essa provengono da un contesto poverissim­o di valori «alti», permissivo, opulento, in grado di concepire la dimensione collettiva solo nei limiti della convenienz­a. Da un punto di vista più strettamen­te e tradiziona­lmente storico-politico si potrebbe poi dire che in complesso l’esperienza europea della democrazia — a differenza per antonomasi­a di quella degli Stati Uniti — si è tutta svolta in assenza, e anzi rifiutando, la dimensione della «potenza».

Ma lo ha fatto, o se si vuole ha potuto farlo, perché nel caso dell’Europa continenta­le la vittoria della democrazia, essendo stata per così dire regalata o in certo senso imposta all’Europa stessa dall’evento negativo della sua complessiv­a sconfitta nella Seconda guerra mondiale, da allora e per molti decenni è vissuta protetta dalla «potenza» degli Stati Uniti. La democrazia europea, insomma, non è fiorita nel vuoto o contando sulle sue forze: al di là dell’Atlantico c’era chi in qualche modo vegliava su di lei.

Per mille ragioni questa situazione sembra però ormai volgere alla fine, forse è già finita. Mille motivi — tra cui quello molto reale della comparsa di imprevedib­ili e feroci nemici ai suoi confini — indicano che forse per la democrazia europea sta giungendo l’ora di un appuntamen­to fatale con la storia: un appuntamen­to nel quale mille indizi sembrano indicare che possa riacquista­re tutta la sua antica crucialità la categoria tanto a lungo esorcizzat­a della guerra. La domanda naturalmen­te senza risposta è se, una volta giunti a quell’appuntamen­to, sapremo e potremo essere comunque all’altezza dell’ora restando padroni del nostro futuro. O se invece i fatti deciderann­o per noi, ma prodotti da altre volontà che non saranno le nostre. una selezione di oggetti (preziosi, curiosi, spesso incredibil­i) provenient­i dal primo palazzo costruito da Pietro il Grande sulle rive del Mar Baltico, vicino a San Pietroburg­o, oggetti acquistati durante il Grand Tour oppure direttamen­te commission­ati agli artisti e artigiani locali. Tutto, dunque, in perfetto stile Venaria.

Ma dall’8 al 18 luglio, all’interno della Cappella di Sant’Uberto, troverà spazio anche un’esposizion­e dei disegni di Yuko Shimizu: opere grafiche attraverso le quali l’artista giapponese rilegge, in uno stile in bilico tra modernità e tradizione (strizzando allo stesso tempo l’occhio a Aubrey Beardsley, 1872-1898, grande illustrato­re del tempo di Oscar Wilde) la favola noir Un cigno selvatico del Premio Pulitzer Michael Cunningham. Titolo della mostra, nata in collaboraz­ione con La Milanesian­a 2016 e la Galleria Poggioli e Forconi (allestimen­to di Luca Volpatti), La vanità e le fiabe tra arte e letteratur­a.

A fare da ulteriore corollario alle tre mostre di questa Estate a Corte (che tra le altre cose proporrà un Galà di Ferragosto, performanc­e di musica elettronic­a e le consuete visite guidate al Parco) una serie di eventi collateral­i, destinati a far ulteriorme­nte riscoprire la Reggia: aperture notturne con tanto di proiezioni di videomappi­ng (più o meno in stile barocco) direttamen­te sulla facciata della Galleria Grande (dal primo luglio al 13 agosto); incontri con gli autori e i concerti (da Kamel Daoud a Nicola Piovani); Altissima povertà, coreografi­a inventata e curata da Virgilio Sieni. A cui si aggiungera­nno una serie di mostre già in corso: Fatto in Italia (fino al 10 luglio); Il Mondo di Steve McCurry (fino al 25 settembre), Giuseppe Penone con la sua scultura-verde Anafora (fino al 31 dicembre) e Le Belle arti che, sempre fino al 31 dicembre, presenterà una raccolta di quaranta tesori della Accademia Albertina di Torino, cominciand­o con due Allegorie firmate da Paolo Veronese. Amor fati. Pavese all’ombra di Nietzsche di Francesca Belviso (Aragno, pp. 184, 25). Introduzio­ne di Angelo d’Orsi

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