Lettura politica della «Salome» di Strauss-Wilde
Isette veli di Salome richiamano alla mente di Rosetta Cucchi, regista della nuova edizione dell’opera di Richard Strauss prodotta dal Teatro Carlo Felice di Genova, i sette vizi capitali, che a loro volta richiamano sette re, sette maschere di morte, sette portali dorati. Salome è dunque motore di un’azione che contrappone il bello, che lei stessa incarna e «ritrova» nel Battista, al potere, che invece sarà raffigurato da un’iconica maschera funebre di Agamennone. Si tratta di una lettura politica del dramma straussiano tratto da Oscar Wilde che non ha torti se non di escludere altri temi forse più stringenti, come la sensualità, il bello in sé, il primato dell’estetica sull’etica.
Chi invece non cerca particolari traiettorie interpretative ma si preoccupa di governare al meglio le fiamme di una invenzione musicale talmente debordante da risultare «pericolosa» è Fabio Luisi, interprete dall’ormai consumata militanza straussiana — è stato guida dell’orchestra più amata dal bavarese, la Staatskapelle di Dresda —, che non manca mai di sostenere il teatro della sua città dirigendone l’orchestra. L’esecuzione, non a caso, è di livello. Valorizza il potenziale dell’orchestra e cava il meglio da un cast che, a parte l’interessante giovane protagonista Lise Lindstrom — voce piccola ma duttile —, non vanta qualità eccezionali: un cast che tuttavia regge il peso di una vocalità declamatoria, certo, ma mai priva di accenti espressivi anche marcati. In questa Salome, insomma, concretezza e solidità vengono prima di ogni altra cosa. Il pubblico se ne accorge eccome e decreta allo spettacolo gli applausi che merita.