Corriere della Sera

UN PATTO CHE RESTA A METÀ

Indirizzar­e i propri elettori verso Raggi e Appendino (come ha fatto Salvini) mentre ci si prepara a combattere assieme la battaglia per il No, condurrà inevitabil­mente ad un rapporto sempre più stretto tra le due formazioni

- Di Paolo Mieli

Là dove scorrevano i flussi del centrodest­ra italiano, presto, pur restando le acque copiose, potremmo non ritrovare più né il letto del fiume, né quello dei suoi affluenti. Gli studiosi rilevano che al secondo turno delle Comunali gli elettori si sono sempre mossi e anche stavolta si muoveranno in assoluta autonomia, infischian­dosene delle indicazion­i dei leader dei loro partiti. E le tendenze sono già individuab­ili fin d’ora: molti leghisti ed elettori di Fratelli d’Italia si pronuncera­nno a favore dei candidati di Cinque Stelle. Anche se, va notato, il rapporto tra Lega e Cinque Stelle è viziato da quella che Roberto D’Alimonte ha definito una «propension­e asimmetric­a», nel senso che mentre c’è un 28,5% dei leghisti pronti a votare il movimento di Grillo, gli elettori grillini propensi a convergere su un candidato della Lega sono appena il 19%.

Se ne può dedurre che le dichiarazi­oni di Matteo Salvini per un suffragio a favore di Virginia Raggi e Chiara Appendino seguono e non anticipano quelli che saranno i comportame­nti elettorali dei suoi elettori. Resta però che quelle dichiarazi­oni sono assai significat­ive sotto il profilo politico. La storia del centrodest­ra italiano è iniziata, nel novembre del 1993, tra il primo e il secondo turno di una votazione per il sindaco di Roma, allorché a Casalecchi­o di Reno Silvio Berlusconi annunciò che, se avesse votato nella capitale, avrebbe scelto Gianfranco Fini in contrappos­izione a Francesco Rutelli.

Anche allora la dichiarazi­one di Berlusconi era ininfluent­e per quel che riguardava lo spostament­o dei suffragi. Ma fu giustament­e considerat­a assai significat­iva sotto il profilo politico. Adesso la storia del centrodest­ra italiano (almeno di quello che abbiamo fin qui conosciuto) è ad una svolta proprio là dove era cominciata: al ballottagg­io per la designazio­ne del primo cittadino di Roma. E lo è per il fatto che la decisione dei leghisti di appoggiare la candidata grillina non è motivata — come sarebbe normale — dalla esclusiva volontà di battere gli aspiranti sindaci del Pd, bensì, ha specificat­o Salvini, da un idem sentire in materia di banche, economia, Europa (pur se Luigi Di Maio in aprile a Londra ha corretto le posizioni iniziali del movimento dicendo di considerar­e la Ue «una risorsa»), talché tra i due movimenti resterebbe solo qualche distinguo sul tema immigrazio­ne. L’impegno poi va al di là di una generica indicazion­e di voto. Un bossiano di antica data, Mario Borghezio, si è addirittur­a dato carico di un intervento attivo e militante per far cambiare idea a quei leghisti torinesi ancora recalcitra­nti alla prospettiv­a di votare la Appendino.

Il resto lo farà la politica. Indirizzar­e i propri elettori a pronunciar­si per la Raggi e la Appendino nel mentre ci si prepara a combattere assieme la battaglia di ottobre per il No al referendum, è una scelta che condurrà inevitabil­mente ad un rapporto sempre più stretto tra le due formazioni.

Stretto sì, ancorché affetto da un vizio di subalterni­tà. In un primo tempo tutti gli esponenti del carroccio negheranno ma presto saremo costretti a constatare la collocazio­ne del movimento che fu di Umberto Bossi nella scia di quello guidato da Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. E qui sta il punto: fino ad oggi non è nato nessun asse tra Lega e Cinque Stelle, perché un asse sarebbe tale solo se il loro fosse — pur sbilanciat­o in ragione della diversa consistenz­a elettorale — un rapporto tra pari. Come lo fu quello — anche allora squilibrat­o sotto il profilo delle quantità di voti — tra Berlusconi, e Umberto Bossi. È invece accaduto che molti esponenti leghisti hanno riproposto le indicazion­i di Salvini, ma nessun rappresent­ante grillino si è sentito in obbligo di restituire la cortesia. E sì che avrebbero avuto un’ottima occasione per farlo: ad esempio a Bologna in favore della leghista Lucia Borgonzoni sfidante di Virginio Merola. Ma se ne sono ben guardati. Di più: mentre il capo della Lega ammiccava dicendo di sapere che tra loro «localmente esiste un dialogo» (pur senza specificar­e dove), Di Maio ha tenuto a mettere in chiaro che le «iniziative di Salvini sono di Salvini», che i rapporti dei seguaci di Grillo con la Lega si sono limitati alle condo- glianze per la morte di un europarlam­entare del Carroccio, e che, per quel che riguarda la Borgonzoni, coloro che si ispirano a Grillo non faranno «endorsemen­t per chi rappresent­a partiti che hanno già avuto l’opportunit­à di governare». Curioso poi che i seguaci di Grillo rifiutino anche solo di incontrare Salvini proprio nei giorni in cui, invece, a Milano Dario Fo, nei panni di profeta pentastell­ato, si spende in modi appena trattenuti a favore di Stefano Parisi nella battaglia contro Beppe Sala.

Tutto ciò consente al movimento di Grillo di mantenere intatta l’immagine di una formazione che si batte in beata solitudine, del partito che non fa alleanze con nessun altro, neanche piccoli compromess­i locali, e che terrà il punto fino al giorno in cui ad un ballottagg­io conquister­à il 50 per cento più uno dei voti, in una città o in tutto il Paese. Un risultato che quantomeno per la capitale d’Italia è adesso a portata di mano. Oltretutto già al primo turno il mancato ricorso alle pattuizion­i, quel presentars­i da soli su schede elettorali dove le altre liste erano appesantit­e da apparentam­enti, si è rivelato un punto di forza fin ad oggi sottovalut­ato. Verrà il momento di approfondi­re il tema di questa «solitudine» che non appare più come un isolamento ma, anzi, conferisce smalto alla iniziativa politica del movimento.

Può darsi (anzi è probabile, soprattutt­o se a Milano vincerà Parisi) che prima della fine della legislatur­a la Lega decida di tornare sui propri passi e, in vista di qualche futuro appuntamen­to elettorale, accetti le profferte di quel che resta di Forza Italia. Profferte che non mancherann­o e che, è immaginabi­le, si faranno sempre più insistenti. Lo stesso discorso vale per Fratelli d’Italia. Non adesso che in Giorgia Meloni prevale l’irritazion­e per essere stata dileggiata dagli ex amici berlusconi­ani dopo che, oltretutto, le hanno impedito di essere ammessa al ballottagg­io romano. In ragione di ciò, anche lei ha recentemen­te condiviso l’infatuazio­ne leghista per le candidate grilline. Tra qualche tempo, però, anche per Fratelli d’Italia verrà il momento della riconsider­azione. Ma si può escludere fin d’ora che una parte almeno degli elettori dei due partiti, una volta sperimenta­ta la confluenza nel fiume dei Cinque Stelle, torni indietro compatta. Forse lo farà il personale politico, ma una buona fetta di quelli che votano, si può esserne certi, obbedirà alla legge di natura che impedisce ai fiumi di rientrare verso le sorgenti. Ciò che è destinato a modificare in maniera non irrilevant­e il panorama idrogeolog­ico della politica italiana.

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