«Il pusher era con Sara e non l’ha soccorsa» Indagato per omicidio
L’inchiesta sulla giovane morta di overdose a Roma
È il suo spacciatore, stando all’ultima ipotesi della Procura di Roma, il vero killer di Sara Bosco. L’uomo che le ha portato l’eroina nel seminterrato del Forlanini dove la ragazzina viveva e dove è stata trovata il 9 giugno scorso. Ora quell’uomo è accusato di omicidio volontario. Non solo ha accettato di venderle la dose sapendo che era «pulita» da oltre un mese ma, secondo gli investigatori, era lì quando si è sentita male ed è scappato senza neppure tentare un primo
soccorso. Ma sembra ci sia di più, in questa storia di degrado, solitudine e ospedali che s’improvvisano accampamenti. E sono i dettagli d’insolito squallore che riguardano il ritrovamento del corpo. Quando le forze dell’ordine sono intervenute, Sara era adagiata seminuda su una vecchia lettiga arrugginita, negli spazi ridotti a discarica del Forlanini. Come se, nel fantasma del vecchio padiglione, si fosse svolto un incontro erotico. È così, e non era il primo.
È emerso cosi che la sedicenne andava a letto con il pusher per pagargli le dosi, non avendo soldi. La faccenda andava avanti da un po’ e la madre, sempre secondo la ricostruzione investigativa, ne era consapevole. A questo punto però cambiano anche le ipotesi di accusa. E infatti il pubblico ministero Antonino Di Maio che da ieri indaga per omicidio volontario lo spacciator e , ipotizza anche lo sfruttamento della prostituzione minorile. Non è tutto ovviamente. A 16 anni, un genitore consapevole, è chiamato automaticamente in causa. E quindi la mamma della ragazza, Katia Neri, potrebbe essere iscritta a sua volta sul registro degli indagati con l’accusa di aver concorso allo sfruttamento del corpo della figlia.
La donna che vive a Santa Severa con il compagno e un altro figlio adolescente era stata ascoltata come persona informata sui fatti nei giorni scorsi. Nel suo verbale c’è la ricostruzione di una storia complicata di disagio e trascorsi pesanti. Altri familiari tossicodipendenti, una vita di dipendenza e disastri affettivi.
Con gli agenti la Neri ha parlato del «Piccolo Carro» di Ospedalicchio a Perugia, una comunità terapeutica in cui si era rifugiata la figlia Sara, per disintossicarsi. E da cui poi sarebbe scappata per arrivare in quella specie di terra di nessuno sotto i padiglioni del Forlanini. Sui quotidiani contatti telefonici con la figlia, però, la Neri era apparsa reticente. Salvo ammettere che in una delle ultime volte che si erano sentite, la ragazza le aveva ripetuto: «Voglio tornare a casa, vieni a prendermi».
La dipendenza di Sara da sua madre sarebbe stata più forte di quanto lasciasse immaginare. Gli agenti del commissariato di zona hanno ipotizzato da subito che ci fossero state telefonate fra madre e figlia poco prima e nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. Al quadro investigativo mancano ancora diversi elementi. A cominciare dagli approfondimenti tossicologici legati all’esame dell’autopsia, che diranno anche di più sull’overdose. Ma soprattutto manca all’appello lui, pusher e sfruttatore: il vero killer di Sara Bosco.