Adozione e lotta per la verità Le due mamme del Jolly Nero
Paola, vedova di una vittima, terrà la figlia che aveva in affido
in acqua. «Ho visto le sue mani» racconta lei. «Le dita erano consumate... chissà quanto tempo avrà provato ad aprire quella porta».
Avere verità e giustizia è diventata la missione della sua vita e Adele, 60 anni, in questi anni ha fatto di tutto per arrivarci. «Di tutto vuol dire mille cose» riassume la sua avvocatessa, Alessandra Guarini. Per esempio cercare, contattare e sentire di persona i testimoni di quella sera di cui aveva letto i nomi sui giornali; studiarsi tutti gli atti — tutti — fino a conoscerli praticamente a memoria; ingaggiare e pagare di tasca propria consulenti tecnici per capire se e quali punti deboli c’erano nella ricostruzione degli inquirenti; mettere sulla sua pagina Facebook ogni documento, ogni video o fotografia utile alle indagini; studiare a fondo la normativa sulle certificazioni di sicurezza delle navi e sulle autorizzazioni per la costruzione della torre di controllo. Insomma, un’inchiesta personale e, diciamo così, parallela a quella della Procura. Grazie alla quale ha potuto opporsi all’archiviazione dell’indagine sulla costruzione della torre. Il Gip le ha dato ragione e ha ordinato che venisse riaperta per altri otto mesi (è ancora in corso). E poi c’è il Rina, il registro navale italiano, che è un altro filone di inchiesta: in accelerazione dopo che Adele ha scovato chissà dove documenti consegnati in Procura. «E questo è soltanto l’inizio » dice lei. «Non sanno cos’è capace di fare una madre che vuole giustizia per il figlio...». Gli indagati
A processo per l’inchiesta sull’incidente mentre sono 3 gli indagati per il crollo della torre piloti di Genova