Corriere della Sera

CHE COSA FA RIUNIRE I LUPI SOLITARI

- Di Guido Olimpio

Lupi solitari parte di un branco. Alcuni agiscono in modo individual­e ma escono da una tana digitale, creata nella grande foresta di Internet. Qui si incontrano, scambiano idee, si radicalizz­ano e ricevono anche ordini. A volte il singolo terrorista ha alle spalle dei mandanti, degli ispiratori se non proprio dei complici. In alcuni casi trova al suo fianco dei parenti. La moglie, il fratello, il cugino sono i migliori complici in quanto raramente tradiscono. È questo lo scenario che si apre davanti a noi, dall’Europa agli Usa.

Il militante legato da un filo diretto alla casa madre è pronto ad accogliere il messaggio attraverso comunicazi­oni protette mentre il semplice simpatizza­nte non deve fare altro che attendere un discorso sul web. Un sermone del portavoce dell’Isis, Abu Mohammed al Adnani, fa da detonatore, equivale a un ordine. Questo siriano, veterano del conflitto iracheno e oggi ai vertici della fazione, riveste la doppia funzione di ideologo e comandante. È stato lui a indicare come attaccare in Occidente anche quando non si hanno armi. Con una pietra, con l’auto usata come ariete oppure come un coltello, cosa avvenuta a Parigi lunedì notte. Non meno significat­iva la procedura che rende tutto più agile se non si hanno contatti. Non perdete tempo a chiedere autorizzaz­ioni agli imam — è la sua disposizio­ne — ma agite. E ciò permette alla fazione di sfruttare o rivendicar­e anche gli attacchi che non ha concepito. È sufficient­e la semplice dichiarazi­one nel nome del Califfo. Esiste un apparato eversivo più semplice di questo?

Il metodo ha una seconda implicazio­ne. Offre una giustifica­zione e una causa a elementi alle prese con i loro problemi. In altre parole l’assalto del terrorista — in alcune situazioni — è il risultato di aspetti diversi. Primo. Guai all’interno della famiglia o mentali. Secondo. Ostilità verso una comunità o la società, non sempre motivata da cause reali però gonfia di risentimen­to. Terzo. Simpatie verso il jihadismo, l’elemento chiave. Da qui il profilo contrastan­te dell’omicida di Orlando, instabile, mitomane, violento, confuso su quale gruppo scegliere, carnefice di omosessual­i ma lui stesso gay.

È un assassino simile agli sparatori di massa — quelli delle scuole, per capirci — ma reso più deciso dall’idea di partecipar­e a una lotta globale. Non vogliamo attribuirg­li la sbrigativa etichetta di «folle», bensì sottolinea­re come diventi difficile, in certi casi, valutare con chiarezza la minaccia di chi comunque adora Bin Laden. E al tempo stesso rimarcare come la somma del fattore personale a quello politico offra agli istigatori un gran numero di potenziali reclute. Prede di cattivi maestri che li trasforman­o, anche senza un rapporto diretto, prima in assassini, poi in terroristi. E il branco dei lupi cresce.

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