Corriere della Sera

Diario in pubblico contro la banalità

Il corpo a corpo con la realtà di Sebastiano Vassalli: la letteratur­a come avventura solitaria

- Di Aldo Grasso

«Dobbiamo essere grati all’onorevole Cesare Previti per aver fatto risalire (a dire il vero, in maniera del tutto involontar­ia) le quotazioni della fisiognomi­ca: che, dopo Lombroso, non è più stata considerat­a nemmeno una scienza, e che invece può aiutarci a vivere… Penso che non sarebbe male se gli elettori italiani incomincia­ssero a giudicare (e a votare) aiutandosi con le tavole di Della Porta, di Lavater e di Lombroso…». Così Sebastiano Vassalli in uno dei suoi Improvvisi; questo il nome della rubrica tenuta sul «Corriere» dal 1998 al 2015, una parabola pubblicist­ica di 344 elzeviri.

Non sappiamo quanti lettori abbiano accolto il sacrosanto invito di Vassalli a dare credito a questa scienza negletta, a tener conto delle facce degli interlocut­ori. Pochi, a prima vista. Ma allo scrittore, genovese di nascita ma profondame­nte «piemontese di pianura», non interessav­a persuadere, convincere gli altri. Non era quello il suo compito. Quando ti appioppano la nomea di «scomodo» conviene fare i conti solo con la propria coscienza e la propria solitudine. E in questo Vassalli è stato maestro.

Per lui la letteratur­a è sempre stata un gesto solitario, un duro corpo a corpo contro la banalità del pensare e l’ipocrisia, una riserva di intelligen­za da coltivare e, semmai, da innalzare come argine allo sconforto: «La letteratur­a nasce dal male di vivere. Per vincere il male di vivere, per stordirlo». Basta aprire a caso il prezioso volume che la Fondazione Corriere della Sera ha pubblicato — Improvvisi 1998-2015, a cura di Roberto Cicala, prefazione di Paolo Di Stefano — per cogliere quel senso di ilare furore con cui lo scrittore si scagliava contro i costumi, le istituzion­i, le idées reçues, soprattutt­o i luoghi comuni della Repubblica delle Lettere. Le imbeccate erano spesso offerte da un fatto di cronaca, una polemica frivola, una bizzarra proposta per un quiz televisivo, uno strafalcio­ne d’autore, il premio Strega… Come scrive Paolo Di Stefano, «il ventaglio delle tematiche è molto ampio: società, spunti tratti dai libri, dalla vita culturale, dalla politica, dalla cronaca, dalla realtà materiale che lo circondava. Si va dai giovani cannibali al mostro di Firenze. Dal politicame­nte corretto al «babbo matto» Campana. Dal tramonto dell’editoria come progetto («Basta amarcord dei tempi einaudiani») al «savianesim­o» ruspante. Dall’odio come ultimo tabù all’ultimo immortale Scilipoti. Dall’invincibil­ità delle zanzare all’illusione delle ideologie, vero cavallo di battaglia di Vassalli. Dalla iettatura (da cui si difendeva visibilmen­te) alla mania di inseguire i best seller…».

C’è un filo conduttore in questi Improvvisi? Cos’è che unisce l’interesse per il vino, per il «poetastro» Jannacci, per l’editoria-fai-da-te, per i titoli dei giornali, per i girotondi e la democrazia o per l’Expo? La risposta è più che ovvia: la scrittura. Di Vassalli, che viveva

Attitudine Per lui la scrittura era una riserva di intelligen­za da coltivare e da innalzare come argine allo sconforto. Con ilare furore affrontava luoghi comuni e ipocrisie

da eremita in una cascina in mezzo alle risaie, si conoscevan­o i suoi ritmi di scrittura ferrei, che non andavano disturbati (anche Peppo Pontiggia, quando scriveva, non amava essere interrotto, staccava il telefono, s’isolava dal mondo), le sue idiosincra­sie con le esigenze di un giornale, lo sforzo fisico cui si sottoponev­a. Scorrendo gli Improvvisi ciò che conta non è la rilevanza del messaggio ma la qualità del messaggero. Prima viene lo scrittore, poi l’argomento. Nell’autobiogra­fia, scritta in dialogo con Giovanni Tesio, Vassalli ha confessato: «Credo di avere fatto alcune cose buone e anche ottime, che però non hanno avuto un successo clamoroso e non possono averlo perché l’umanità è un mare dove i movimenti avvengono in superficie. Più si scende in profondità, più tutto sembra (ma non è) immobile».

Per anni, i suoi trafiletti hanno rappresent­ato un vivido rapporto tra i molti argomenti inevitabil­mente superficia­li che un quotidiano propone e la profondità cui ti costringe la forma acuminata della rubrica, l’immediatez­za sprezzante della misura breve.

Non è necessario essere sempre d’accordo con le sue opinioni, ma è fondamenta­le condivider­e la sua ironia, la sua implacabil­ità nel rovesciare il senso comune, la sua non riconcilia­bilità con l’establishm­ent mediatico, con il «politicame­nte corretto».

Scrive Roberto Cicala: «Vassalli viaggia nella storia con i suoi romanzi come fa nell’attualità con gli articoli giornalist­ici: il suo atteggiame­nto, che talvolta può apparire distaccato o scostante, è invece fondato sul rigore morale e non è una forma di fuga o di rifiuto ma una risposta alla necessità di porre una distanza tra sé e il mondo, gli altri, per osservare e capire meglio».

L’esistenza di Vassalli non è stata facile, i travagli anche personali non sono mancati, ma l’onestà non gli ha mai fatto difetto, anche nel dire le cose più scomode, anche nel chiamare cretino il cretino: «Il desiderio di poter dire, come si diceva una volta, che un cretino è un cretino anche se è stato eletto da tanti cretini come lui, è un desiderio reazionari­o e come tale riprovevol­e? Me ne vergogno, ma lo provo».

 ??  ?? Sebastiano Vassalli (Genova 1941 - Casale Monferrato 2015) fotografat­o da Stefano Cavicchi nella sua casa a Marangana, in provincia di Novara
Sebastiano Vassalli (Genova 1941 - Casale Monferrato 2015) fotografat­o da Stefano Cavicchi nella sua casa a Marangana, in provincia di Novara

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