Corriere della Sera

Milano / 2 I due «Savi» di Melotti arrivano in Triennale

- Di Stefano Bucci

La Triennale di Milano, la stessa che celebra quest’anno la svolta della sua XXI edizione, aggiunge un nuovo tassello al suo progetto di memoria: domani a Milano, a due passi dal Palazzo dell’Arte, si inaugura Umbracula, padiglione nato da un progetto di Attilio Stocchi e che al suo interno ospita la mostra After a cura di Antonella Ranaldi (Soprintend­ente Belle arti e paesaggio) con Fulvio Irace (del Politecnic­o) in collaboraz­ione con Direzione generale arte e architettu­ra contempora­nee e periferie urbane, Segretaria­to regionale del Mibact per la Lombardia. Una mostra che propone due Savi del gruppo La disputa dei sette savi di Atene di Fausto Melotti, realizzati tra il 1960 e il 1962 per il nuovo Liceo Carducci.

Il padiglione (che al suo interno ospita i totem progettati da Italo Lupi e che si ispira ai gelsi nella sala delle asse al Castello e a certe forme della natura come la spugna, la foglia, l’ombra e la luce) dovrebbe Il Padiglione «Umbracula» alla Triennale

rimanere «in funzione» fino al 12 settembre ma, fin da ora, la speranza è che possa diventare «stabile» al pari dei Bagni misteriosi di De Chirico e del Teatro Continuo di Burri. Proprio sul progetto di memoria insiste il presidente della Triennale Claudio De Albertis: «Sono tracce, quelle rappresent­ate dai due Savi, che si erano in qualche modo perdute e di cui forse, chi ha oggi meno di trent’anni, nemmeno aveva conoscenza; per questo si tratta di un’operazione importante per Milano, oltre che piena di suggestion­i e poesia». Una poesia giocata anche sui colori, visto che, a seconda delle ore del giorno in cui verrà visitato (l’ingresso è gratuito), spiega Stocchi, il Padiglione potrà essere di volta in volta «un po’ bianco, un po’ grigio, un po’ nero».

Il soprintend­ente Ranaldi ha sottolinea­to, in particolar­e, il valore storico dell’operazione: «Abbiamo voluto portare qui i Savi, farli tornare alla XXI Triennale perché i loro prototipi, uguali ma in gesso, erano stati realizzati da Melotti, nella sua prima edizione nel 1936, per la Triennale di Milano». Allora (tra l’altro) erano stati disposti in modo che ognuno fosse rivolto verso l’altro, anche se nessuno sguardo si incrociava. La struttura progettata da Stocchi dialogherà di fatto con l’architettu­ra del Castello Sforzesco e con il verde che circonda il Palazzo. E, come testimonia il suo nome, affiderà un ruolo fondamenta­le all’ombra perché «non c’è niente di più meraviglio­so dell’ombra che gioca con l’architettu­ra».

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