Corriere della Sera

Ma i grandi autori qui «sanno» di terra

- Di Matteo Collura

La Sicilia e i suoi scrittori, e per ogni scrittore una «sua» Sicilia, dal momento che – dice Bufalino – le Sicilie sono tante, al punto che non si finisce di contarle: «Vi è quella verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava». Eppure a tanta diversità di paesaggio non corrispond­e altrettant­a disparità di scrittori. Appaiono quasi tutti vincolati ai paesaggi interni dell’isola, gli scrittori che vi nascono. Per questo la rassegna letteraria di cui si parla in queste pagine, intitolata «Paesaggi di mare», porta a riflettere su quanto le opere degli scrittori siciliani abbiano a che vedere con esso. Parafrasan­do il bellissimo titolo di un libro di Anna Maria Ortese, si potrebbe dire che «il mare non bagna la Sicilia». E questo perché gli scrittori che più la rappresent­ano sanno in gran parte di terra; le loro storie appartengo­no alla realtà interna dell’isola, a città e paesi che del mare sembrano non avere memoria. Il mare, quando c’è, non è sfida, non avventura da romanzo, ma condanna, morte certa, elemento dal quale stare lontani. É questo che ci dicono I malavoglia di Verga. Fatta eccezione per il capolavoro di D’Arrigo, Horcynus Orca, non c’è il mare nelle pagine dei grandi scrittori siciliani. Non c’è nel già citato Bufalino, non c’è in Sciascia e Brancati, come non c’è in De Roberto e Vittorini. Non c’è neanche in Pirandello. Non c’è nel Gattopardo, il romanzo che più rappresent­a la Sicilia, che più ne mette a nudo difetti e pregi. Quando lo scrisse, Tomasi di Lampedusa aveva in mente la campagna interna della Sicilia, quella sorta di annuncio d’Africa così attraente per i turisti che non vanno in cerca soltanto di bagni in mare.

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