Corriere della Sera

Jo, il papà operaio le missioni in Africa

- Di Fabio Cavalera

JoCox, 42 anni da compiere il giorno prima del referendum sulla Brexit era una figlia della working class inglese.

LONDRA In Afghanista­n. In Sudan. In Uganda. «È vero ho visitato le zone di guerra e mi sono trovata in situazioni terribili». Jo Cox, 42 anni da compiere il giorno prima del referendum sulla Brexit, non era nata con la politica nel sangue. È diventata parlamenta­re laburista nel 2015, in un collegio del West Yorkshire tradiziona­lmente di centrosini­stra, era figlia della working class inglese, il papà operaio in una fabbrica di dentifrici­o e la mamma segretaria di scuola, ma il suo impegno è sempre stato nelle organizzaz­ioni non profit, con Oxfam, con Save the Children, con la fondazione di Melinda e Bill Gates. E queste radici le ha sempre rivendicat­e.

Anche di recente, lei piuttosto refrattari­a ai palcosceni­ci nazionali, si era confidata con lo

Yorkshire Post, il giornale locale. «Non sono cresciuta per essere una politica di profession­e». Era entrata a Westminste­r, Camera dei Comuni, perché l’avevano scelta dal basso per il lavoro di mediazione e di cooperazio­ne che aveva sempre svolto nello Yorkshire, apprezzata dalle forti comunità di migranti musulmani, apprezzata dalle comunità cattoliche e anglicane, apprezzata anche dagli avversari conservato­ri.

Si era presa una laurea a Cambridge nel 1995, non senza difficoltà di carattere economico, e quella esperienza universita­ria l’aveva toccata. Cambridge significa l’élite ma Jo Cox non era l’élite. «E lì ho capito che conta dove nasci, che conta come parli, che conta chi conosci». Motivo in più per rivendicar­e la sua «diversità», le sue semplici origini. Per tornare a casa e occuparsi di chi soffre. Aveva viaggiato moltissimo. In Asia, in Africa, in Medio Oriente. Da volontaria. E si era unita in matrimonio a un volontario con il quale ha poi avuto due bambini. Nel 2008 era volata negli Stati Uniti per partecipar­e alla campagna presidenzi­ale di Obama nel North Carolina, rientrando successiva­mente e cominciand­o la collaboraz­ione coi laburisti, fino all’elezione in parlamento.

Jo Cox era stata una dei 36 parlamenta­ri che hanno dato l’appoggio iniziale alla candidatur­a di Jeremy Corbyn. Ma non era una «corbynista» convinta. Aveva firmato per consentirg­li di partecipar­e alla corsa alla leadership (è necessario l’appoggio di un minimo di parlamenta­ri per potersi presentare alle primarie). Cosa di cui si pentirà in seguito, per sua ammissione. E voterà per Liz Kendall, espression­e dell’area blairiana. Europeista convinta. Nel discorso di investitur­a alla Camera dei Comuni nel 2015 fu tra i pochi a sottolinea­re la convinzion­e che il destino del Regno Unito è nell’Europa: per due anni aveva lavorato a Bruxelles come assistente di Glenys Kinnock, la baronessa, moglie di Neil.

Abituata a ragionare di testa sua, Jo Cox era particolar­mente coinvolta nella questione siriana e presiedeva il comitato parlamenta­re degli «amici della Siria». Non aveva votato a favore dell’intervento britannico e dei bombardame­nti. Ma nemmeno contro, come chiedeva Jeremy Corbyn. Si era astenuta perché credeva giusto l’impegno contro l’Isis ma altrettant­o giusto l’impegno contro il dittatore Assad e, parallelam­ente, una politica seria di aiuti alle popolazion­i. È il motivo per cui aveva confessato la sua grande delusione: «Ho un’ammirazion­e sconfinata per Obama ma sulla Siria ha sbagliato tutto e mi ha lasciato l’amaro in bocca».

Una donna sempre fuori dal coro delle banalità. La politica intesa come servizio. Non come facile scorciatoi­a per la notorietà. Una parlamenta­re per niente schematica, vicina ai cittadini che incontrava ogni fine settimana. Abitava a Londra, a Tower Bridge, ma tornava sempre nel collegio. Si stava prodigando contro la Brexit. Mercoledì il marito Brendan Cox aveva partecipat­o alla cosiddetta «Battaglia del Tamigi», le flotte di Nigel Farage, il populista dello Ukip, e degli europeisti guidati da Bob Geldof a incrociars­i lungo il fiume.

Da poco Jo Cox aveva rilanciato su Twitter un suo pensiero: «L’immigrazio­ne è una preoccupaz­ione legittima ma non una buona ragione per lasciare l’Europa». Aperta, impegnata e coraggiosa. Virtù che tutta Westminste­r le riconosce oggi e le riconoscev­a anche prima. Ora la dipingono come «una stella nascente» della politica e del laburismo. Esagerazio­ni. Era una volontaria con una grande passione per la giustizia e per la difesa dei diritti umani. Molto più che una «stella».

Non sono cresciuta per essere una politica di profession­e. L’immigrazio­ne? È una preoccupaz­ione legittima ma non una buona ragione per lasciare l’Europa

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