Corriere della Sera

Quel tifo per se stessi nel Paese di Guicciardi­ni

Nel secondo turno delle elezioni, in questo punto di svolta semplifica­trice e drastica, esplodono i personalis­mi, i particolar­ismi, gli interessi irriducibi­li, le rivalità inconfessa­bili

- Di Pierluigi Battista

Domenica secondo turno delle amministra­tive: si vota per i ballottagg­i ed è qui che trionfa l’Italia delle fazioni. La politica si fa scelta secca: è in questo punto di svolta semplifica­trice e drastica, che esplodono i personalis­mi, i particolar­ismi, gli interessi irriducibi­li, le rivalità inconfessa­bili. Domenica è il giorno dei verdetti: l’impegno degli schieramen­ti è blando mentre i candidati si spendono in solitudine. Qualche volta affiora pure la tentazione del votare contro: i risentimen­ti si mescolano alle paure e la difesa del proprio orticello viene prima dell’obiettivo comune. Forse è anche per questo che in Italia è sempre stato amato il proporzion­ale in cui chi vince non vince proprio tutto.

In Italia le grane deflagrano di preferenza in vista dei ballottagg­i, quando la politica si fa necessaria­mente scelta secca, reductio ad unum, opzione esclusiva. Esplodono qui, in questo punto di svolta sem-plificatri­ce e drastica, i personalis­mi, i particolar­ismi, gli interessi irriducibi­li, le rivalità inconfessa­bili. Guardate l’impegno degli schieramen­ti che corrono a favore dei candidati sindaci: blando, freddo, svogliato, quasi zero, mentre i candidati si spendono senza requie, in evidente solitudine. Qualche volta affiora addirittur­a la tentazione del votare contro, come appare evidente in questi giorni soprattutt­o nella sinistra e nel Pd, e i risentimen­ti si mescolano alle paure, e la difesa del proprio orticello viene privilegia­ta sulla battaglia per un obiettivo comune.

Per questo, in fondo, gli italiani hanno sempre avuto nel cuore il sistema proporzion­ale, in cui chi vince non vince proprio tutto, e proporzion­almente si distribuis­cono benefici e rappresent­anza. Dove il «particular­e», il cui conseguime­nto Francesco Guicciard-in i indicava come l’ essenza perenne e inscalfibi­le del carattere italiano, esercita un richiamo più forte dell’interesse generale del proprio stesso schieramen­to. Mentre il maggiorita­rio, di cui il ballottagg­io è la manifestaz­ione apicale, e che configura nella sua logica l’alternativ­a ineludibil­e «o di qua o di là» senza mediazioni, si alimenta di puro machiavell­ismo: vincere, occupare la stanza del potere, del governo o della città.

Nell’Italia del Novecento questa propension­e alla frammentaz­ione pluralisti­ca, e al molteplice che mitiga lo strapotere dell’uno, ha avuto espression­e persino in un contesto apertament­e antidemocr­atico come la dittatura fascista in cui l’indiscusso primato del duce veniva a patti con la pluralità dei gerarchi, ciascuno dei quali incarnava una particolar­e anima del fascismo. Con il ritorno alla democrazia, il carattere italiano ha trovato nella purezza proporzion­a listi calo specchio delle proprie pulsioni più profonde. I partiti, il vero cardine del sistema, della «Repubblica dei partiti» come era stata battezzata, erano contenitor­i di pluralità, e le correnti, prima ancora di essere escrescenz­e degenerate e voraci, esprimevan­o questa multiformi­tà. Chi vinceva, soprattutt­o nella Dc, che era il perno dell’universo politico italiano, doveva scendere a patti anche con le componenti interne al partito, e poi con i partiti stretti in una coalizione. Persino in un partito monolitico come il Pci, le diverse «sensibilit­à», come si diceva pudicament­e, trovavano espression­e in un pluralismo sociale e istituzion­ale — il sindacato, le città, le cooperativ­e, le Regioni — che non mortificav­a le particolar­ità conviventi sotto lo stesso tetto.

Il sistema dei partiti, e insieme quello proporzion­ale, crollano con la ghigliotti­na della «rivoluzion­e giudiziari­a», e al loro posto subentrano il maggiorita­rio e la nascita di formazioni politiche di stampo fortemente leaderisti­co. Per la verità, non si è assistito a un processo simmetrico a destra e a sinistra, giacché alla straripant­e leadership berlusconi­ana nel centrodest­ra si è contrappos­ta nel centrosini­stra una coalizione variegata e frazionata che ha dato molto filo da torcere ai leader, e in particolar­e a Romano Prodi, le cui doti di paziente tessitore si sono sempre scontrate con il particolar­ismo dei partiti che erano il nerbo dello schieramen­to. Poi anche questo sistema è entrato in crisi. Lo sgretolars­i della leadership di Berlusconi ha messo in moto un processo centrifugo e addirittur­a caotico nel centrodest­ra. Ma l’irruzione di Matteo Renzi e di Beppe Grillo ha segnato il formarsi di nuove leadership forti. Quanto forti e robuste è l’interrogat­ivo che attraversa questo appuntamen­to elettorale. Nel Movimento 5 Stelle, il passo a fianco di Grillo e la scomparsa di Casaleggio stanno creando problemi di succession­e che già si sono manifestat­i con l’affiorare di una paventata leadership per Luigi Di Maio. Nel Pd i malumori contro Renzi rischiano di indebolire il leader in una misura che i suoi nemici interni si augurano molto profonda. Il ritorno del «particular­e» e la crisi delle leadership sembrano procedere di pari passo, e se questo è vero lo si misurerà anche e soprattutt­o nel decisivo appuntamen­to referendar­io di ottobre. Per vedere anche se Guicciardi­ni prevarrà su Machiavell­i.

Distribuzi­one In Italia è stato sempre amato il proporzion­ale, in cui chi vince non vince proprio tutto Verdetti Il maggiorita­rio vuol dire invece occupare la stanza del potere, del governo o della città

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