Corriere della Sera

Il «chiariment­o» con la sinistra Renzi farà a luglio l’assemblea dem

L’obiettivo della massima unità al referendum

- di Maria Teresa Meli

Matteo Renzi sa bene che i suoi avversari ( interni ed esterni) lo stanno attendendo al varco dei ballottagg­i. Benché il premier continui a dire che «non si può legare la vita del governo al voto in alcune città», è inevitabil­e che se le elezioni non dovessero andare bene per il Pd, si aprirà nel suo partito e nelle forze dell’opposizion­e un dibattito sull’esecutivo.

Il presidente del Consiglio ne è conscio: «C’è chi nutre la speranza — ragiona con i collaborat­ori — di poter mettere in atto un gioco di palazzo per non farmi arrivare nemmeno al referendum e farmi cadere prima. Ma non ci riuscirann­o». La qual cosa, anche se, come è ovvio, amareggia Renzi, non sembra però stupirlo più di tanto: «Dal loro punto di vista lo capisco pure. Pensano che se vince il “sì” al referendum sono finiti e allora tentano il tutto per tutto». Con «nessuna possibilit­à di riuscita», a suo giudizio, anche perché si tratta di uno schieramen­to «eterogeneo», che non ha un «progetto politico alternativ­o» e nemmeno «un leader». Renzi ritiene che questo fronte non sia perciò in grado di mettere su un altro governo che, magari, si dia come missione quella di riformare l’Italicum. Cioè quella legge elettorale che il premier ha già detto di «non voler modificare manco morto».

Nel novero di chi vorrebbe vederlo togliere il disturbo anzitempo, il premier mette anche qualche avversario interno, ma non tutta la minoranza, perché Renzi è convinto che quelli «che vogliono giocare allo sfascio» sono pochissimi. Come si contano sulle dita di una mano, secondo lui, i «bersaniani» che potrebbero abbandonar­e il partito in caso di vittoria del «sì».

A tutti gli altri, cioè alla gran parte della minoranza interna che ha accettato e accetta il Pd come terreno di gioco e non immagina futuribili scissioni, Renzi dà appuntamen­to a luglio. Il presidente del Consiglio, infatti, ha in animo di convocare per l’ultima settimana del prossimo mese l’Assemblea nazionale del Pd. In quella sede si procederà al «chiariment­o» interno, ma, nelle intenzioni del premier quella sarà anche la sede dove fare il punto sul referendum di ottobre. Renzi ha già detto — e ripetuto — che non vuole «cacciare nessuno»: «Non sarebbe da me». Però punta a presentare un partito il più unito possibile all’appuntamen­to referendar­io. Per questo, in vista della campagna per il voto di ottobre, che avvierà già in agosto, vuole «fare chiarezza». Per luglio, ragionano i renziani, non ci si potrà più trincerare dietro la giustifica­zione che bisogna occuparsi delle amministra­tive e solo dopo dei referendum, quindi ognuno dovrà «manifestar­e apertament­e le proprie opinioni». E, come è solito dire il premier, «chi ha votato sì alla Camera dovrà spiegare perché invece al referendum voterà no».

E a proposito del referenpre­mier dum. La data più gettonata, ne ha parlato anche Renzi pubblicame­nte, è il 2 ottobre. Ma c’è una novità. Il voto potrebbe essere spostato più in là, all’ultima domenica del mese: il 30 ottobre. Non c’è ancora niente di definito a questo riguardo, ma da qualche giorno in qua da Palazzo Chigi filtra anche questa nuova, possibile, data.

Tornando al Pd: la minoranza vorrebbe che Renzi facesse un passo in più sulla strada del « chiariment­o » , andando quanto prima al Congresso. Il sembrava aver aperto a questa prospettiv­a nella penultima riunione della Direzione del partito. Ma è effettivam­ente così? Calendario alla mano, sembra difficile che si riesca a tenere le assise nazionali a breve. «Per il lavoro della “Commission­e per le regole congressua­li” — ragiona Renzi con i suoi — ci vorranno almeno sei mesi, poi si devono tenere i congressi locali, quindi, a occhio, si arriva all’autunno del 2017».

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