Giuristi spaccati sulla riforma Ma per tutti è una «svolta»
«Tornante», «svolta», «snodo». Sono le parole più pronunciate a rendere il clima: comunque la si pensi, il referendum sulla riforma costituzionale sarà uno «spartiacque». Facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano: giuristi, politologi, storici, politici di lungo corso. Dialogano le ragioni del Sì e quelle del No. Qui non c’è quel clima da «resa dei conti» che si respira altrove. Si vuole mettere ordine. Impossibile, allora, non puntare gli occhi sullo specchietto retrovisore della storia. Lo fa subito chi sostiene il Sì: l’economista Michele Salvati sottolinea che «la fine della guerra fredda, le sfide del neoliberismo globale e l’adesione all’Ue richiedono governi forti. È arrivato il tempo di una democrazia governante». L’ex giudice costituzionale Sabino Cassese, sullo stesso fronte, cita i Padri costituenti e le loro perplessità di allora sulla Carta. Non nasconde i limiti del testo, ma chiarisce che «dà maggiore stabilità e un ruolo centrale al Parlamento». Con le ragioni del No sono schierati la costituzionalista Lorenza Carlassare, il politologo Gianfranco Pasquino e Valerio Onida. «Il problema non è il Senato, ma la scarsa qualità delle leggi», dice l’ex presidente della Corte costituzionale. «E le leggi escono male da Palazzo Chigi». In aula c’è anche la politica, con l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, che difende il metodo della maggioranza: «La riforma è passata da sei letture parlamentari. Sono 30 anni che ci proviamo. È ora di riuscirci». E l’ex ministro Gaetano Quagliariello, per il No, che attacca dal centrodestra: «Renzi sta lacerando il Paese sulle regole, abolendo la competizione sui princìpi, confusi in una melassa travestita da decisionismo».