Corriere della Sera

Letta avverte i big azzurri: state zitti qualche giorno, poi Silvio dirà cosa fare

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previsto. Allora potremo parlare con lui e capiremo cosa lui vorrà fare». In questa frase c’è l’essenza del comando generata dal comando: perché si potrà parlare «con lui», ma sarà poi «lui» a decidere.

D’un tratto dev’essere parso chiaro a tutti che le riunioni riservate e gli scontri pubblici sono stati tempo sprecato: come essersi seduti alla guida di un’auto senza averne le chiavi, aver fatto il verso del motore, aver mosso la testa insieme al volante, e aver infine capito che non era un circuito ma solo una giostrina. Se la famiglia Berlusconi ha fatto il nome di Letta non è stato per dare un ruolo a chi non ne ha avuto mai bisogno, ma per far capire che non ci sono eredi. È stato come un tweet lanciato dal letto di ospedale: #stateseren­i. Ed è stato un messaggio urbi et orbi, un colpo al cerchio (magico) e uno alla botte, siccome è vero che alla senatrice Rossi è stato chiesto di passare le consegne, ma non per affidare ai suoi acerrimi avversari interni il Graal del partito.

Perché il cuore del problema non è (non è mai stata) la I conti da regolare con chi aveva «già eretto un monumento equestre» al leader direzione politica di Forza Italia, compito che spetterà ancora al «paziente B» quando si sarà un po’ rimesso. Il punto è a chi verranno affidate le chiavi dello scrigno elettorale, il sigillo del potere di firma, la titolarità del simbolo e delle liste. Passato lo spavento, i figli (e gli amici) del Cavaliere hanno deciso di affrettars­i, di fare ciò che peraltro già pensavano di fare prima del malanno capitato a Berlusconi: riprenders­i le chiavi. Il modo più sicuro per averne piena disponibil­ità in ogni momento, e al tempo stesso per saperle custodite. è assegnarle a una persona di casa, come fossero in una cassetta di sicurezza.

Ora è chiaro perché «Gianni»

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