ELSA MORANTE NARRA SE STESSA BAMBINA UN RACCONTO CHE VA OLTRE LA PROVA INVALSI
Ebrava Elsa Morante. Narra se stessa bambina in un mondo remoto, in una scuola d’altri tempi dove le alunne portavano il grembiule bianco e l’unico maschio della classe il grembiule turchino. Un racconto in cui le compagne ammirano ( forse per interesse) la prima della classe (Elsa), che già alla sua età scrive poemi in rima e che invece desidera essere mediocre come loro e aspira soltanto a somigliare a Marcella, grassoccia e colorita, con le sue ginocchia sporche di terra. Un racconto in cui l’unico ragazzino, il figlio della maestra, a tutte le compagne preferisce proprio la secchiona (e sfigata) Elsa. E brava Elsa Morante che con un racconto del 1939, offerto in pasto ai ragazzi di terza media per la prova Invalsi 2016, riesce a metterli in subbuglio, a smuovere emozioni, belle e brutte ma certamente inattese, che vanno al di là della consegna della verifica, tracimando su Twitter e in Instagram con decine di commenti ironici, anche con battutacce di vario genere (non sarà mica «lesbica», per caso?), con l’associazione (diciamo attualizzante) tra la Morante e la omonima algida regina di «Frozen». Senza dire della legittima incomprensione: ma come?, osserva qualcuno, aveva la fortuna di essere magra e voleva diventare grassa! Un azzardo, questo racconto, non facile, la cui giovane protagonista non fa nulla per risultare simpatica, riflette (con civetteria) su se stessa senza amarsi e disprezzando le lodi della madre e delle maestre: un racconto di solitudine se non di (auto)isolamento, che avrebbe potuto provocare il rigetto o la noia e che invece ha scatenato la curiosità, derisoria finché si vuole, ma comunque vivace, inquieta, allegra. Soprattutto, nessuna indifferenza, l’incubo di ogni scrittore. Non c’è bisogno di forzare troppo le cose, immaginando quanto l’autrice del «Mondo salvato dai ragazzini» sarebbe soddisfatta dei suoi giovani lettori postumi. E di se stessa, ovvio.