Corriere della Sera

«L’Asia salverà il rock»

Carlos Santana: le band migliori arriverann­o da quei Paesi perché negli Usa il sistema musica investe troppo sul rap

- Andrea Laffranchi

Sulla morte del rock sono stati scritti infiniti epitaffi. E altrettant­e pagine sono state dedicate alla resurrezio­ne del genere. Carlos Santana, leggenda della chitarra, guarda il tema da una prospettiv­a diversa. Il musicista 68enne ha appena pubblicato «Santana IV», un album che sa di passato. A partire dal titolo col numero romano, che lo rende seguito ideale dei primi tre pubblicati fra 1968 e 1971 («Santana», «Abraxas» e «Santana III») e dalla formazione che lo rimette assieme a Gregg Rolie, Neal Schon, Mike Carabello e Michael Shrieve dopo 45 anni. «Non saranno però loro a suonare in tour con me», anticipa Santana alla vigilia dei concerti che lo porteranno in Italia, il 13 luglio a Cividale del Friuli (Udine), il 19 a Roma, il 20 a Cattolica (Rimini) e il 21 a Milano.

Non pensa che «Santana IV» contribuis­ca a diffondere nostalgia nel rock?

«La decisione di fare questo album assieme a quasi tutti i musicisti della formazione originale non è stato un modo per scappare dal presente e tornare nel passato. Piuttosto è stato un modo per rivisitare tutti assieme qualcosa che ci era molto caro. In questi 45 anni di musica ognuno di noi ha imparato molte cose e le ha riportate all’interno di questa esperienza offrendole agli altri. Sono state cose che ci hanno reso persone migliori. Io ho portato quello che mi hanno lasciato le collaboraz­ioni con Herbie Hancock, Wayne Shorter e Paco De Lucia».

La musica è condannata a guardare indietro?

«Dipende. Se le nuove band non riescono a fare nulla di innovativo e nulla di meglio rispetto a quanto facevano i Doors e i Rolling Stones, la conseguenz­a è che si torna a guardare al passato».

C’è ancora spazio per qualcosa di nuovo?

«Credo che le cose migliori per il rock arriverann­o lungo la rotta Istanbul, Persia, Kuala Lumpur. Negli Stati Uniti il sistema musica investe troppo sul rap, quindi le band nuove arriverann­o da quei territori».

Nei suoi testi e nelle sue parole si sente una forte tensione verso la spirituali­tà. Da dove proviene?

« Dalla sete per fare cose sempre più belle, dalla voglia di rendere il mondo un posto migliore, di vincere le paure e far vincere l’amore. Nulla di speciale... Erano le stesse cose che dicevano e che cercavano di fare anche personaggi come Bob Marley e John Lennon».

Il mondo era meglio ai tempi di Woodstock e dei suoi esordi o oggi?

«Sono entrambi buoni periodi. Dipende da dove vivi, ma ovunque puoi trovare delle belle persone e dei posti incontamin­ati. Sta a te saperli cercare. È anche una ricerca della propria consapevol­ezza che ci aiuta ad arrivare a un punto in cui non ci saranno guerre, non ci sarà violenza e potranno fluire la compassion­e, la pace e l’amore».

Però in nome della religione più che far vincere l’amore si fanno le guerre...

«Le guerre non vengono mai combattute veramente in nome della spirituali­tà o di un Dio, ma la ragione prima è sempre l’economia. Magari qualcuno dice di combatterl­a per la religione, ma si tratta di menti deviate. Le guerre sono lotte per accaparrar­si denaro e risorse, per una migliore qualità della vita, per una rivincita o per una vendetta. Dio, qualunque esso sia, non può essere guerra, Dio è solo amore».

Con gli attentati a Parigi anche la musica è stata messa in pericolo...

«La musica va sempre suonata, non si deve mai fermare. Guardiamo a quello che è successo anche grazie alla musica con Nelson Mandela, con il muro di Berlino. Dobbiamo promuovere l’amore e non la paura».

I nuovi gruppi non riescono a fare nulla di innovativo rispetto a quanto facevano i Rolling Stones e perciò si guarda al passato

Coi social network si può far uscire la spirituali­tà?

«Dobbiamo tutti concentrar­ci per permettere a una nuova frequenza di arrivare sul nostro pianeta. Tu, io, tutti noi abbiamo una luce dentro e un dna divino. È necessario però creare questo miracolo che si realizza mettendoci tutti sulla stessa frequenza. Da qui nasceranno possibilit­à infinite per ognuno di noi e per l’umanità. I social potrebbero forse aiutarci in questo compito, ma meglio spegnere i social e anche la tv e cercare di accendere la nostra luce interiore».

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