Corriere della Sera

Aeroporti, piano anti kamikaze

Gli attentator­i avevano l’esplosivo nascosto sotto piumini e cappotti ma nessuno si è insospetti­to Le vittime sono 42, tra cui 14 stranieri. Il capo della Cia: «C’è il marchio di fabbrica dell’Isis»

- di Guido Olimpio e Fiorenza Sarzanini Semmola, Serafini

Nuove misure di sicurezza negli aeroporti dopo l’attentato kamikaze a Istanbul. In Turchia il conto dei morti è arrivato a 42, molti i feriti gravi.

«Una vendetta dell’Isis». All’indomani della strage all’aeroporto Atatürk di Istanbul, la lettura dell’attacco è questa. Una risposta a Erdogan, responsabi­le agli occhi dei jihadisti di aver fatto pace con Israele e di aver ripreso le relazioni con l’alleato di Assad, Putin.

Mentre lo scalo internazio­nale riapre e gli operai cercano di rimuovere i detriti, Istanbul piange le sue 42 vittime: di quelle identifica­te, 23 sono turche (fra cui una coppia di inservient­i, un tassista, cinque poliziotti, guide turistiche). Gli stranieri sono 14: sauditi, iraniani, un cinese, un uzbeko, una donna palestines­e. C’è anche un pediatra dell’ospedale militare di Tunisi. Il quotidiano Hürriyet pubblica le immagini di due dei tre kamikaze ripresi dalle telecamere a circuito chiuso. Il modus operandi è lo stesso dell’attacco a Bruxelles. «È il marchio di fabbrica della depravazio­ne dell’Isis», scandisce il capo della Cia John Brennan.

Gli attentator­i arrivano in taxi. Entrambi indossano abiti invernali, forse per coprire le armi e le cinture esplosive. Uno cammina all’esterno della zona arrivi. Indossa un piumino nero. Si tiene una mano sulla pancia, le telecamere lo immortalan­o forse un attimo prima che si faccia saltare. È il « kamikaze ariete » che ha permesso agli altri due di entrare sfruttando il panico, spiega il premier turco Binali Yildirim.

L’altro indossa un cappotto nero, lungo. Entra nella hall. Spara sulla folla, gli si inceppa l’arma (un AK47), si fa saltare. Il terzo uomo viene colpito da un poliziotto al piano superiore, nella zona partenze. Cade a terra, è agonizzant­e. Ma riesce ad azionare il detonatore. All’interno dell’aeroporto si scatena l’inferno. I viaggiator­i iniziano a correre. «Eravamo in transito di ritorno dalla luna di miele quando ho sentito le pallottole fischiare. Così sono corso da lei e l’ho abbracciat­a», ha raccontato su Twitter il reporter Steven Nabil.

«I kamikaze sono stranieri, abbiamo eseguito le autopsie e fatto le analisi del Dna»: è l’unica informazio­ne che trapela dalla cortina di censura imposta dal governo di Ankara. «È come un puzzle che stiamo cercando di ricomporre attraverso le immagini delle telecamere e le testimonia­nze», spiega un agente.

Per tutta la giornata i canali di propaganda del Califfato hanno taciuto. Niente proclami, nemmeno i «fan boys» della jihad si sono fatti vivi. Amaq News,» la sedicente agenzia di stampa di Isis, si è limitata a diffondere via Telegram un’infografic­a sull’espansione dello Stato Islamico in occasione del secondo anniversar­io del Califfato. Tra le zone indicate come infiltrate dalle «unità sotto copertura (le cellule), proprio la Turchia (e la Francia).

La tensione sale, i kamikaze di Al Baghdadi si fanno saltare anche a Tal Abyad, in Siria, a venti chilometri dal confine con la Turchia. Ed è questo che emerge anche dall’allerta diramata dai servizi turchi venti giorni fa che metteva l’aeroporto Atatürk tra gli obiettivi sensibili: «La Turchia è vulnerabil­e». I leader di tutto il mondo chiamano Erdogan. «Sconfigger­emo l’Isis in Siria e in Iraq», dichiara Obama. Anche Putin telefona al presidente turco con cui ha appena ricucito i rapporti dopo la crisi del jet russo. La lotta all’Isis non è finita.

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(Nella foto, parenti delle vittime in lacrime)

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