Corriere della Sera

Quel pasticciac­cio sul palazzo dell’Atac

Dall’acquisto all’uso in affitto: esposto a Roma sulla futura sede dell’azienda di trasporti

- di Sergio Rizzo

Prima la trattativa per l’acquisto a 118 milioni, con un anticipo di 20 pagati dall’Atac, l’azienda trasporti di Roma, intenziona­ta a farne la propria sede, poi lo stop e la transazion­e per un affitto da quasi 8 milioni di euro all’anno. Ma, secondo l’esposto presentato alla Procura dall’amministra­tore unico dell’Atac, Armando Brandolese, e dal direttore generale Mario Rettighier­i, la sede non è mai stata consegnata.

Sono sei pagine stringate, che però dicono tutto sul modo con cui è stato gestito a Roma per anni il denaro dei cittadini. Consigliam­o alla sindaca Virginia Raggi di leggerle con attenzione, sicuri che non avrà difficoltà a farlo: l’amministra­tore unico dell’Atac Armando Brandolese e il direttore generale Mario Rettighier­i, nominati dal commissari­o Francesco Paolo Tronca, le hanno portate in procura.

È il quarto esposto in poche settimane che i vertici della più grande municipali­zzata italiana, quella che con quasi 12 mila dipendenti gestisce il trasporto pubblico nella capitale, recapitano ai magistrati, alla Corte dei conti e all’Autorità anticorruz­ione.

Il bersaglio è un palazzo nella periferia romana la cui costruzion­e è affidata al gruppo romano Parnasi, lo stesso che dovrebbe realizzare il nuovo stadio della Roma calcio. Un immobile da 114 milioni, pensato per ospitare la nuova sede di quell’azienda colabrodo. Tutto comincia nel 2006, sindaco Walter Veltroni. Ma l’accelerazi­one avviene nel 2009, quando al Campidogli­o c’è Gianni Alemanno. Il Comune delibera di comprare un palazzo da destinare a «sede unica della mobilità».

Due mesi dopo l’amministra­tore delegato Adalberto Bertucci chiude l’operazione con Bnp Paribas, il proprietar­io dell’area del Castellacc­io, dalle parti dell’Eur.

Il contratto viene stipulato a razzo. E a razzo cambiano i numeri: la superficie passa da 21.000 a 26.000 metri quadrati e il corrispett­ivo sale da 99 a 118 milioni.

Nel 2009 l’Atac sgancia pure 20 milioni sull’unghia, come anticipo, e questa diventa la pietra dello scandalo.

I lavori cominciano, ma subito scoppia un contenzios­o sui ritardi. Per inciso, sono i mesi in cui lo scandalo parentopol­i investe l’azienda. Passa un annetto e la cosa si sistema con una curiosa transazion­e. L’Atac non compra più l’immobile, impegnando­si invece ad affittarlo pagando il 7% del valore: 7 milioni 980 mila euro l’anno. Durata: nove anni più nove, fanno 143 milioni e 640 mila euro. In cambio, il locatore concede uno sconto di 4 milioni sul prezzo di un’eventuale vendita, che resta comunque un’opzione.

Sottolinea l’esposto come il progetto originale che doveva essere realizzato con le procedure di evidenza pubblica, abbia «subito ingiustifi­cati stravolgim­enti fino a tradursi in un vero e proprio affidament­o diretto» con la trasformaz­ione «in un contratto di locazione peraltro già in essere nonostante il bene non fosse ancora venuto ad esistenza e che a tutt’oggi neppure risulta collaudato e consegnato all’Atac».

Non bastasse, «la direzione dell’Atac non ha mai proceduto alla risoluzion­e del contratto di compravend­ita coerente con gli interessi pubblici».

Sì, perché c’è anche questo. «Non è stata reperita documentaz­ione attestante la certa copertura finanziari­a dell’operazione. Va rilevato che la situazione dell’Atac non consentiva l’attivazion­e di mutui bancari», scrivono Brandolese e Rettighier­i. Confermand­o la tesi già espressa a inizio 2014 dagli ispettori del ministero dell’Economia, secondo cui le condizioni economiche dell’Atac «difficilme­nte consentira­nno di far fronte agli impegni». Per non dire che «un immobile di tali caratteris­tiche» nemmeno serve.

Anche questa rogna è adesso sul tavolo di Giuseppe Pignatone insieme a quelle sui distacchi sindacali, la gestione delle mense e la fornitura delle gomme.

E non è escluso che venga presto raggiunto da un quinto dossier: quello delle pulizie. Una indagine interna su un appalto triennale da 38,6 milioni ha fatto venire alla luce tutto un mondo. Il rapporto descrive «lavorazion­i non effettuate» o «imputate più volte», oltre a «superficia­lità nell’esecuzione» e «ripetute condotte

Le pulizie Potrebbe aggiungers­i un altro esposto dopo l’indagine interna sull’appalto pulizie

inoperose». Ma ancor più colpisce l’elenco degli interventi di pulizia dichiarati in locali che risultavan­o «sotto sequestro, interdetti all’uso, inesistent­i…».

Cose turche, con l’aggravante di graziosi sconti concessi sulle penali da applicare per contratto: dai 954 mila euro dovuti ai 92 mila effettivam­ente pagati.

O di subappalti per gli impianti di erogazione del gas andati avanti per un anno e mezzo senza che esistesser­o i presuppost­i…

La sede e le liti Il canone è di 7 milioni e 980 mila euro l’anno Cioè il 7% del valore dell’immobile

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