Corriere della Sera

LE INTESE AL RIBASSO

- Di Franco Venturini

Tra i molti pericoli che pesano sull’Unione Europea, il più micidiale ha un nome gentile: sollievo. Le sue tossine attenuano l’allarme del dopo Brexit, placano i timori, aprono spiragli all’ottimismo. Dopotutto in Spagna gli antisistem­a sono stati battuti. La Borsa mostra di voler recuperare. Ieri si è svolto tranquilla­mente a Bruxelles il primo vertice dei Ventisette, senza la Gran Bretagna. Il premier scozzese ha confermato a Bruxelles che Edimburgo vuole restare europea. E quanto alle contorsion­i degli inglesi, prima o poi si troverà il modo di perfeziona­re un divorzio che non piace a chi lo ha voluto.

C’è qualcosa di vero, in questa ricetta consolator­ia. Ma se si prova a guardare avanti, allora emerge una formidabil­e dose di inadeguate­zza e di cecità. Dov’è la forte reazione politica che gli europei continenta­li avevano più volte promesso in caso di Brexit? Dov’è l’«immediato rilancio» dell’Unione? Se i danni sono per ora circoscrit­ti lo dobbiamo alle misure di protezione finanziari­a predispost­e dalla Bce, non certo all’impegno dei leader politici europei.

Iquali, seguendo una Merkel attendista, hanno preso tempo rinviando a settembre l’annunciata riscossa.

Errore grave, perché sarà proprio il tempo a decidere le sorti dell’Europa. Nel marzo 2017 si vota in Olanda, dove gli euroscetti­ci arrabbiati di Geert Wilders risultano favoriti. E prima della fine di maggio si vota per scegliere il nuovo presidente in Francia, dove il Front National di Marine Le Pen continua a guidare i sondaggi. Una coppia che dovrebbe provocare qualche brivido, visto che nel 2005 furono proprio la Francia e l’Olanda, in quest’ordine, a silurare con l’arma del referendum il progetto di trattato costituzio­nale europeo. E invece i passi felpati dell’Europa denunciano indifferen­za, come se la storia e il calendario non esistesser­o.

Calcolando che luglio e agosto contano al massimo per uno, la Ue dispone di sette mesi prima del test più insidioso, quello olandese. Sette mesi per adottare e rendere percepibil­i provvedime­nti capaci di raggiunger­e la massa degli elettori. Sette mesi per inviare ai popoli europei messaggi nuovi e forti che possano riaccender­e almeno la speranza nei confronti dell’Europa là dove oggi prevalgono la delusione e la rabbia. È diffusa ben oltre la Gran Bretagna la voglia di identità e di frontiere. La globalizza­zione, anche se ha molto aiutato i Paesi emergenti, viene percepita da parti importanti delle società occidental­i come un vantaggio per le élite e per la grande finanza che ha spodestato la politica a scapito della classe media. La disoccupaz­ione che non scende produce voglia di tornare al «prima», e alimenta la paura dei fenomeni migratori. Stragi ripetute come quella che ha nuovamente colpito Istanbul obbligano a prendere atto di una insicurezz­a diffusa.

A questo crescente «populismo», se proprio vogliamo chiamarlo così, l’Europa non può più rispondere con i compromess­i al ribasso. L’Inghilterr­a ha suonato la campana per tutti malgrado le sue peculiarit­à, e l’Europa si scopre oggi in rotta di collisione con la democrazia delle urne. La via da percorrere, ora, non è quella di volere più integrazio­ne nel momento sbagliato. Si tratta invece di ri-legittimar­si di fronte alle attese degli elettori con misure urgenti e concrete, come la garanzia sui depositi bancari (l’Italia ci sta provando e ieri Renzi ha dovuto sentirsi dire dalla Merkel che «non si possono cambiare le regole ogni due anni»), la creazione di nuovi argini ai flussi migratori con la polizia di frontiera europea, un consenso reale per spingere la crescita, l’adozione di più efficaci accordi per la sicurezza anche fuori dai confini europei. E la creazione di vantaggi comuni, modello Erasmus.

Il tempo stringe, eppure l’Ue non sembra avere fretta. E rimanda, invece di creare subito il binario della controffen­siva politica accanto a quello del confronto procedural­e con Londra. Forse il rinvio è preferibil­e alla constatazi­one delle divisioni, al riconoscim­ento che è troppo tardi per recuperare gli umori divorzisti? Speriamo di no, perché una resa non piacerebbe agli elettori olandesi e francesi.

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