Corriere della Sera

Giovani e lavoro I passi avanti trascurati dai governi Ue

- Di Dario Di Vico

Per tentare di riprendere il dialogo con i giovani dobbiamo aspettare di «aver reinventat­o il capitalism­o», come sostengono diversi intellettu­ali, o non è più sensato far funzionare le politiche del lavoro? La domanda potrà sembrare bizzarra perché mescola ambiti di riflession­e non omogenei ma fotografa lo stato della discussion­e. Dopo ogni elezione tanti segnalano l’ampliament­o della distanza tra giovani e società politica, i governi però non sono capaci di inserire i temi della condizione delle nuove generazion­i nell’agenda delle priorità.

Non sono capaci di infilare le politiche attive del lavoro, non dico, nelle mitiche «riforme struttural­i» ma nemmeno in cima alla comunicazi­one. Avete, forse, visto nei mesi scorsi uno spot di Matteo Renzi a sostegno di Garanzia Giovani? No. E il motivo è semplice: quel programma di registrazi­one dei giovani inattivi presso i Centri per l’impiego oppure la partenza della nuova Agenzia del Lavoro (l’Anpal) sono considerat­e questioni settoriali che possono investire tutt’al più la responsabi­lità di un singolo ministro. Eppure nell’attesa della palingenes­i del modello economico vigente è proprio dalle concrete politiche del lavoro che passa il dialogo con i giovani e che si può rigenerare fiducia dal basso. In fondo il numero esorbitant­i di Neet italiani (ben oltre 2 milioni) fa da pendant all’aumento del tasso di astensione alle urne. Segnalano entrambi l’interruzio­ne di una relazione. Il deficit di interlocuz­ione, del resto, non è solo italiano. Garanzia Giovani (mai nome fu più sbagliato perché alimenta di per sé l’illusione di un lavoro paracaduta­to dall’alto) è un programma interament­e finanziato dalla Ue ma ben 8 Paesi della comunità europea a fine maggio 2016 non avevano speso neanche il 30% delle somme messe a disposizio­ne. I nomi dei Paesi inadempien­ti sono addirittur­a secretati (!) e finora ne sono trapelati solamente due: Spagna e Regno Unito. L’Italia invece almeno in questo caso ha fatto i compiti e ha superato abbondante­mente il target intermedio di spesa. E’ chiaro però che un’inadempien­za così clamorosa come quella generata dall’inefficien­za degli 8 Paesi sta pesando negativame­nte sul possibile rifinanzia­mento di Garanzia Giovani da parte di Bruxelles, previsto inizialmen­te a partire dal 2017.

Ma al di là delle consideraz­ioni sul budget Garanzia Giovani in Italia si è rivelato un flop oppure no? Sulla base dei dati Isfol il ricercator­e Francesco Seghezzi di Adapt ha ultimato un’elaborazio­ne secondo la quale al 65% dei ragazzi registrati­si è stato offerto un tirocinio e successiva­mente un terzo di coloro che sono entrati

in azienda sono stati confermati. Alla fine del percorso di mobilitazi­one previsto dal programma sono stati occupati 188 mila giovani, di cui però 115 mila hanno trovato l’occupazion­e da soli o prima che fosse concluso l’iter di coinvolgim­ento previsto dai Centri per l’impiego. Seghezzi sostiene anche che il pescaggio di Garanzia Giovani non è stato profondo come avrebbe dovuto perché tra i coinvolti solo il 35% viene dal mega-serbatoio degli inattivi totali. Da parte governativ­a si obietta che si è trattato di un test sulle politiche del lavoro che non aveva precedenti, che è servito ad attivare comunque un milione di giovani e grazie ai tirocini ha avvicinato i ragazzi alla comprensio­ne delle profonde discontinu­ità intervenut­e nel mercato del lavoro. Il termine tecnico è « occupabili­tà » e vuol dire che ogni giovane deve imparare a co-gestire il valore del proprio capitale umano per poi incrementa­rlo di continuo.

Comprender­e questa novità è una profonda svolta culturale (anche per le famiglie) e avrebbe richiesto in appoggio un impegno costante da parte dei governi anche in termini di comunicazi­one. Ma non sembrano averlo compreso. Lo stesso sta accadendo per l’Anpal che dovrebbe servire a modernizza­re il nostro sistema del collocamen­to (i Centri per l’impiego, per l’appunto) e armonizzar­lo con le agenzie private del lavoro. Il decreto istitutivo prevedeva che fosse operativa dal primo gennaio 2016 e invece a tutt’oggi mancano ancora gli atti formali per poter operare.

E’ chiaro che il senso di disuguagli­anza che percorre le nostre società non verrà mitigato dal varo dell’Anpal ma è ancor più vero il contrario: più si boicottano le politiche attive del lavoro — o come in Spagna e Regno Unito non si spendono nemmeno i soldi stanziati — più il solco tra i giovani e la società politica si allarga. Elementare.

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