Corriere della Sera

Ecco il piano sicurezza per i grandi aeroporti

Metal detector potenziati, controlli a stive e servizi di terra: le mosse dell’intelligen­ce

- Di Guido Olimpio e Fiorenza Sarzanini

Dolore Familiari delle vittime dell’attentato terroristi­co del 28 giugno all’aeroporto internazio­nale Atatürk di Istanbul (Ozan Kose / Afp)

Arretrare la zona di «filtraggio» predispone­ndo controlli all’ingresso dei principali aeroporti. Il giorno dopo la strage nello scalo Atatürk di Istanbul, i servizi di sicurezza italiani stringono ulteriorme­nte le maglie. La possibilit­à di un attacco in un aeroporto di grande affluenza era stata data come probabile dai servizi di intelligen­ce europei all’inizio del Ramadan, il 6 giugno. Una ventina di giorni fa l’allarme era stato circoscrit­to alla città di Istanbul, sia pur senza fornire indicazion­i precise sull’obiettivo. E il timore è che adesso nuove azioni possano essere state pianificat­e in altri Paesi occidental­i, non escludendo l’ipotesi di attentati simultanei. Le prime informazio­ni giunte dalla Turchia, in assenza di una rivendicaz­ione immediata, convergono sulla matrice islamista e in particolar­e sull’Isis. Ormai si è creata una situazione che appare quasi paradossal­e: indebolito nelle proprie aree di influenza (dalla Siria, all’Iraq, fino alla Libia), Isis/Daesh si mostra più forte grazie all’azione di «lupi solitari» e gruppi che decidono di entrare in azione negli Stati occidental­i. E puntano a quei settori nevralgici per l’economia, come appunto è il turismo. Per questo l’attenzione è ora concentrat­a verso tutte le mete di attrazione che possono diventare obiettivo privilegia­to: le spiagge del Nordafrica così come le capitali europee.

Il «filtraggio» agli ingressi e il modello israeliano

che si è schiantato sul Sinai, provocando la morte di 224 persone, compresi 24 bambini.

A Istanbul i killer hanno usato la vecchia strategia di colpire il primo cerchio di uno scalo. Non potendo arrivare sui jet, oggi molto protetti, sparano sulla folla. Per questo si deve aumentare la vigilanza in tutte le aree: con la creazione di cerchi difensivi affidati ad agenti in divisa e in borghese proprio come accade negli aeroporti israeliani. Nulla viene lasciato sguarnito: strada d’accesso, ingresso, check-in, porte d’imbarco, navette. Gli uomini della sicurezza si mimetizzan­o in mezzo ai passeggeri, telecamere vegliano in ogni angolo. Naturalmen­te si tratta di un dispositiv­o che ha costi enormi e per questo — al di là dei provedimen­ti di sorveglian­za già operativi — si sta facendo un’analisi degli aeroporti ritenuti maggiormen­te a rischio per intervenir­e con urgenza. Voli interni Un attacco in un aeroporto di grande affluenza era stato giudicato probabile. Venti giorni fa l’allarme era stato circoscrit­to a Istanbul

L’allerta di venti giorni fa e la lista nel computer

L’ultima segnalazio­ne ritenuta attendibil­e è giunta venti giorni fa e indicava proprio Istanbul come il prossimo obiettivo, sia pur senza fornire notizie che potessero aiutare l’attività di prevenzion­e. Per questo — nonostante gli «allerta» siano tantissimi e arrivino prima di ogni attacco — si sta cercando di capire quale sia stata la «falla» nel sistema di sicurezza dello scalo, ma anche nell’attività dell’intelligen­ce. In Turchia l’Isis conta su una vasta rete di militanti: alcuni sono stati arruolati nel Paese, in particolar­e dalla città di Adiyaman, nel Sud. Altri sono in Siria e da qui entrano proprio per compiere azioni o fornire supporto logistico ad altri fondamenta­listi.

L’Isis ha anche inglobato personaggi estremisti legati al qaedismo e questo gli ha permesso di allargare la base. La guerra in Siria ovviamente ha favorito questa mossa e molti pensano che il vero obiettivo del Califfo sia quello di spingere la Turchia a intervenir­e direttamen­te nel Nord della Siria dove poi sarebbe più facile provocare perdite. Nel gennaio scorso la polizia ha sequestrat­o il computer di un alto dirigente dell’Isis in Turchia (Yunus Durmaz, poi morto). Nei documenti archiviati si parlava di massiccia campagna di attacchi con l’intento di far scoppiare il tessuto sociale turco e danneggiar­e l’economia.

Allerta

A rischio le mete turistiche e le capitali europee

La perdita di alcune roccaforti che l’Isis aveva conquistat­o nei mesi scorsi ha convinto evidenteme­nte i militanti ad agire in Occidente proprio per «difendere» la propria supremazia del terrore. Sui siti Internet jihadisti si moltiplica­no gli appelli a entrare in azione «in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo». La campagna ha come obiettivo dimostrare che un movimento in difficoltà riesce comunque a reagire in modo duro, «dietro le linee» del nemico, aumentando timori e portando scompiglio.

Aree a rischio — oltre alle capitali europee — vengono ritenute le mete turistiche dell’Egitto e della Tunisia, alcune aree del Kenya e naturalmen­te le zone balneari della Turchia. Gli analisti sono convinti che l’Italia non sia bersaglio primario, ma la propaganda Isis continua a puntare su Roma.

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