Nekrošius affronta Kafka senza invenzioni stilistiche
AHunger Artist ossia Il digiunatore è un racconto che Franz Kafka scrisse nel 1922 mentre cercava di finire Il castello. Nello spettacolo di Eimuntas Nekrošius in scena a Spoleto il digiunatore è una formidabile attrice, Viktorija Kuodyté, piccola, magra e vestita di nero.
Perché l’uomo sia diventato una donna non si sa e non ha importanza. Ciò che importa è la prevedibilità argomentativa, o stilistica, dei suoi tre partner, il pubblico dell’«artista» ma anche i suoi tre guardiani e macellai. Prevedibilità rispetto al Nekrošius che conosciamo e al lieve ghigno che nella critica al suo stesso racconto si crede di intravvedere in Kafka: ghigno come modo gentile di scostarsi dal dolore.
Credo sia giusto leggere Il digiunatore in relazione a Indagini di un cane, altro racconto del 1922, e a Giuseppina la cantante del 1924, vero, ultimo racconto di Kafka. Indagini è un apologo sulla voracità: l’insaziabile desiderio di pervenire alla compiutezza, uscire dalla menzogna in cui chi scrive di fatto scrive sfuggendo una possibile verità. Giuseppina la cantante è de Il digiunatore una terza faccia della stessa medaglia: qui la mediocre vicenda dell’artista (colui che mente) è vista dal di fuori, dalla parte dei suoi spettatori, dalla parte del pubblico. Giuseppina non è neppure un’artista ma sia lei, che piuttosto che cantare fischia, sia il suo pubblico, che fischia in più maldestro modo, credono lo sia. E il digiunatore? Chi è quest’essere ostinato, che sembra un atleta a null’altro teso se non a battere il suo record (di astinenza)? Per Giuliano Baioni è una «geniale caricatura del Kafka funambolo, asceta, Narciso o Tartuffe, quali lo scrittore si era ritenuto» fino a quel momento cruciale (quello del Castello).
Personalmente ho amato Kafka come nessun altro scrittore. Per almeno trent’anni ogni anno ho letto un suo libro e un libro su di lui. Pensavo che se Kafka aveva affrontato la morte potevo ben affrontarla anch’io. Ma forse decisiva fu la lettura di Kafka. Pro e contro. Günther Anders leggeva nel testo kafkiano, perfetto e mirabile, la «glorificazione di un’esistenza incompleta, dell’esistenza di un uomo programmaticamente non compiuto». Il che gli appariva inaccettabile e del pari inaccettabile il suo tormento relativo a una presunta colpa: in realtà «una specie di narcisismo negativo, una voluptas humilitatis». E quale racconto, tra i tanti suoi, è più «voluptas humilitatis» de Il digiunatore, più che ghignante, dolente e tragico? Lo scrittore non è, come appare, digiuno di vita. Lo è, niente meno, che di verità.
Aggiungo per puro dovere di cronaca che in Nekrošius non vi è alcuna intrinseca relazione tra le modeste azioni dei personaggi e le loro parole: alcuno sviluppo del racconto, alcun arricchimento o interpretazione se non nel senso, come ho detto, della fedeltà al proprio stile che in parte coincide con un’interpretazione tradizionale dell’opera di Kafka. Quello scaffale a tre piani, quel pianoforte, quel fondale con due porte ivi dipinte risultano elementi scenici ai limiti dell’improvvisazione.