Gli appassionanti simboli nascosti di «Game of Thrones»
Nulla sembra essere in grado di contrastare Daenerys Targaryen, che veleggia verso il continente occidentale, a capo della sua nuova flotta, sorvegliata dall’alto dai draghi Rhaegal, Viserion e Drogon. Questa è l’ultima sequenza della sesta stagione di Game of Thrones, conclusasi con due puntate memorabili: «Battle of the Bastards» e «The Winds of Winter» (Sky Atlantic, lunedì 21.10 e on demand).
Impossibile riassumere la trama o seguire i mille rivoli delle linee narrative, meglio tallonare lo stile della regia: maggior attenzione al totale, ai paesaggi aspri e nevosi, alle scene di massa (spesso viste dall’alto), e minor interesse per i dettagli.
Le discussioni sulla sesta stagione riguardano soprattutto il rapporto con i libri di George R.R. Martin, rimasti indietro rispetto alla serie tv e alle trame create dagli showrunner David Benioff e D.B.Weiss. Tradimento o maggiore creatività? Confusione o fantasy all’ennesima potenza? Per otto puntate serpeggiava una certa delusione, poi abbiamo assistito a un’esplosione narrativa, a una grande battaglia visionaria. Il problema principale di Game of Thrones è reggere il peso delle migliaia di interpretazioni che stanno crescendo in tutto il mondo e il carico di metafore che la serie deve sopportare. La presenza dei draghi, per esempio, ha eccitato le fantasie: siamo passati dall’introduzione dell’aviazione nei conflitti mondiali alle armi di distruzione di massa. È vero, la saga è sul potere e sulla sua espressione più diretta, la guerra, e quindi ogni similitudine è lecita, ma è bello soprattutto vedere all’opera molti studiosi, molti accademici, molti critici impegnati a scoprire ciò che di simbolico si nasconde nelle vesti stracciate dell’Alto Passero, negli oscuri natali di Jon Snow o nella sentenziosità di Tyrion Lannister.
Dietro le immagini di Game of Thrones ne risuonano altre, ricche, lontane, misteriose, tra le quali ci perdiamo sempre più volentieri.