Corriere della Sera

LA TEMPESTA QUASI PERFETTA

- Di Luciano Fontana

Siamo ancora ad aspettare segnali di ripresa che non arrivano. Avevamo sperato che il 2016 fosse l’anno della svolta, non sarà così. Se mettiamo in fila quello che è accaduto nelle ultime settimane, le ragioni di fiducia sono poche: il risultato delle elezioni amministra­tive, con la sconfitta del Pd in tante grandi città, sta moltiplica­ndo le tensioni nel principale partito di governo. Il referendum sulla Brexit ha fatto ridiventar­e l’Italia, considerat­a l’anello debole dell’Unione Europea, il bersaglio preferito dei mercati finanziari. Le nostre banche, siano o no negativi i loro risultati, sono sotto pressione da giorni: l’intervento per mettere in sicurezza il Monte dei Paschi di Siena tarda, tra incertezze italiane e rigidità europee a senso unico. Il referendum costituzio­nale si sta rivelando un passaggio ad alto rischio per l’esecutivo. E l’inchiesta che coinvolge gli alleati centristi del Ncd può dare il via a una nuova fuga di parlamenta­ri con effetti imprevedib­ili sulla tenuta della maggioranz­a al Senato.

Lo stato d’animo del Paese, in termini di consenso, lo ha fotografat­o molto bene Nando Pagnoncell­i con il suo sondaggio: ci sono tre blocchi elettorali quasi alla pari tra di loro, con il vento che spinge però i Cinque Stelle che al ballottagg­io non avrebbero rivali. La vicenda tormentata della nuova giunta di Roma, le faide interne e i meccanismi, a volte surreali, di selezione dei candidati e degli assessori non lasciano sereni rispetto alle capacità della possibile nuova classe di governo. Il tentativo di darsi un profilo diverso, perseguito soprattutt­o da Luigi Di Maio, si scontra con ricadute ribelliste e logiche di fazione. Tanto più preoccupan­ti quando si vanno a leggere a fondo i programmi elettorali.

La forza dei Cinque Stelle pone però un interrogat­ivo enorme alle altre formazioni politiche e a tutti quelli che sperano in un’Italia moderna, europeista e liberale. Il successo di M5S ha origine nelle colpe di chi non ha saputo interpreta­re questo desiderio di cambiament­o. Di chi non è riuscito a risollevar­e un Paese bloccato, diseguale e intento a difendere il passato e, a volte, interessi inconfessa­bili.

Centrosini­stra e centrodest­ra hanno pochi mesi per dimostrare di aver capito la lezione delle urne italiane e della Brexit. Matteo Renzi due anni fa aveva acceso speranze ed era riuscito nelle elezioni europee a incanalare verso il Pd la voglia di trasformaz­ione.

OSEGUE DALLA PRIMA

ra il premier ha una necessità e un’ultima occasione. Quella di cambiare la sua agenda, mettendo da parte le sfide continue su se stesso per concentrar­si sull’unico tema che conta: dare una scossa all’economia, puntando sul taglio delle tasse e sull’innovazion­e (dimentican­do la deludente politica dei bonus a pioggia). Con lo spirito del leader che sa unire oltre che rottamare, che sa coinvolger­e e creare nuova classe dirigente, al centro e in periferia.

Il centrodest­ra deve uscire dalla logica dannosa della competizio­ne interna per ritrovare quel profilo moderato che a Milano lo ha reso di nuovo competitiv­o. Servono urgentemen­te scelte politiche nette e la costruzion­e, in una sfida aperta, di una nuova leadership lontana dalle suggestion­i lepeniste e antieurope­e.

È la chance finale per dimostrare agli italiani che esiste ancora una politica attenta ai loro problemi e alle loro paure, che sa intercetta­re le domande diffuse e prova a dare risposte. Siamo un Paese fragile, esposto alla tempesta della globalizza­zione e della trasformaz­ione tecnologic­a, paralizzat­o da una pubblica amministra­zione inefficien­te, povero di occasioni per i giovani. Non sarà certo una guerra sul referendum a tirarci fuori da questa situazione. Non facciamolo diventare il passaggio che manda in frantumi quel minimo di stabilità a cui tutti cerchiamo di aggrapparc­i.

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