Profugo ucciso La vedova all’ultrà «Dimmi perché»
Al vaglio dei pm più versioni dell’aggressione al profugo
«Dio ti supplico, salvalo. Non posso vivere senza di lui». Chinyere, la moglie del nigeriano pestato a morte a Fermo, nelle Marche, ha pregato per ore. Le bombe degli integralisti di Boko Haram sterminarono la sua famiglia. «Della mia bambina di due anni non è rimasto niente». Quello stesso giorno lei ed Emmanuel decisero la fuga. Sette mesi infernali per arrivare davanti al Mediterraneo e tentare la traversata verso l’Italia. E poi le botte, la sera sul barcone. «Arrivarono in cinque. Quelle botte mi fecero abortire» ricorda Chinyere. «Andrò in carcere a incontrare chi ha fatto questo e gli chiederò: perché? Perché tanta violenza?». Il ministro Alfano: «Aggravante razzismo».
Un colpevole dopo meno di 24 ore dalla morte di Emmanuel Chidi Nnamdi, in un clima mediatico che mai si era visto a Fermo, capoluogo di provincia con poco più di 37 mila abitanti. A ufficializzare nome e cognome dell’ultrà accusato dell’omicidio è lo stesso ministro dell’Interno Angelino Alfano, dopo aver raggiunto la città marchigiana per presiedere la riunione straordinaria del comitato per l’ordine e la sicurezza. Accanto a lui, il prefetto Mara Di Lullo e il procuratore Domenico Seccia.
Per il delitto del nigeriano 36enne è stato fermato Amedeo Mancini, 39 anni, titolare di una piccola azienda agricola e storico ultrà della Fermana. L’accusa è di «omicidio preterintenzionale aggravato dalla finalità razzista». «Un giorno di infinita tristezza» dice Alfano accanto a don Vinicio Albanesi, il presidente della comunità di Capodarco che aveva accolto e ospitava Emmanuel e la compagna Chinyere. Il ministro annuncia poi che alla vedova sarà riconosciuto lo status di rifugiata.
L’ultrà, ora in carcere, interrogato dai pm Mirko Monti e Francesca Perlini si dichiara «dispiaciutissimo» e, difeso dall’avvocato Francesco De Minicis, fornisce una versione