Corriere della Sera

«Voglio andare a trovarlo in carcere e chiedergli perché l’ha fatto»

Il dolore della vedova: «Finalmente eravamo felici. Io lo so che gli italiani non sono così»

- DALLA NOSTRA INVIATA di Giusi Fasano

Della mia bambina di due anni non è rimasto niente. Pensavo di aver sofferto già troppo quando sono sbarcata qui Voglio farcela, devo farcela anche stavolta. Devo dimostrare che sono più forte di chi ha fatto tutto questo ma mi sento così disperata Chi è stato deve pagare per quello che ha fatto, non può rimanere tutto impunito, non è possibile. Mio Dio, perché mi hai lasciata sola?

FERMO Chinyere ha pregato e pregato per ore. In ginocchio e in lacrime. «Dio ti supplico salvalo, non portarmelo via. Non posso vivere senza di lui, lo capisci vero?». Suor Filomena ha provato a dirle che «l’attività cerebrale è cessata» che, «fra sei ore firmeranno il certificat­o di morte». Chinyere non sentiva: «Fra sei ore Emmanuel si sveglierà e riprenderà a respirare, io lo so».

Alle sei del pomeriggio, ieri, sfinita dal pianto e rannicchia­ta sul suo letto, passava in rassegna le fotografie nella memoria del suo cellulare. «Non è giusto che io sia così sfortunata. Cosa ho fatto di male? Perché la cattiva sorte guarda sempre me?».

Guardava dalla sua parte quando le bombe degli integralis­ti di Boko Haram sterminaro­no la sua famiglia. «Della mia bambina di due anni non è rimasto niente» racconta. Quello stesso giorno lei ed Emmanuel decisero la fuga. Sette mesi infernali per arrivare davanti al Mediterran­eo e tentare la traversata verso l’Italia. E poi le botte, la sera in cui salirono sul barcone. «Sono arrivati in cinque. Ero incinta e noi speravamo tanto di offrire al nostro bambino tutto ciò che fino a quel momento ci era stato tolto ma quelle botte mi fecero abortire» ricorda Chinyere.

Successe sul barcone che ballava come un guscio di noce in mezzo al Mediterran­eo: «Sanguinavo e mi sono salvata solo perché ci hanno soccorso in tempo. Mi sembrava di aver sopportato già troppo dolore e quando sono sbarcata qui da voi, quando ho conosciuto don Vinicio, quando io ed Emmanuel siamo stati accolti come ospiti nel seminario, ho pensato: forse è finita, il destino non se la prenderà mai più con me. E invece adesso...».

Adesso che Emmanuel non c’è più Chinyere dice che «voglio farcela, devo farcela anche stavolta. Devo dimostrare che sono più forte e migliore di chi ha fatto tutto questo ma mi sento così disperata...».

«Chi ha fatto tutto questo», cioè Amedeo Mancini. «Vorrei andare in carcere a trovarlo e chiedergli perché. Vorrei guardarlo negli occhi domandare: perché proprio noi? Perché tanta violenza? Non avevamo fatto niente di male. Non ci conoscevam­o nemmeno...».

Per tutto ieri Chinyere ha sentito mille volte la parola razzismo. «Io lo so che gli italiani non sono così» chiude l’argomento mentre le suore della confratern­ita Piccole Sorelle Jesus Caritas le portano biscotti, caffè, zucchero. Lei rifiuta tutto, vuole solo piangere. E vuole parlare dell’aggression­e, spiegare dettagli che la sua avvocatess­a le ha consigliat­o di tenere per sé perché c’è l’indagine in corso.

E allora, per cambiare argomento, passa ai ricordi di lei e di Emmanuel, al futuro che non sarà più. Sognavano di ottenere lo status di rifugiati e di trovare una casa e un lavoro. Lei avrebbe finito gli studi universita­ri in medicina, lui — analfabeta — avrebbe frequentat­o una scuola italiana.

Da quando sono arrivati fra le suore della Comunità di Capodarco il loro impegno è stato girare nelle parrocchie del Fermano per raccontare che si può sopravvive­re anche a un dolore così grande come la perdita dei figli, anche alle atrocità di Boko Haram. «La porto sempre con me come fosse uno zainetto» scherzava sempre Emmanuel parlando della sua Chinyere. Lei leggeva per lui, gli insegnava quell’italiano incerto che ha imparato da suor Filomena in questi mesi. Mai una volta che uno dei due uscisse senza l’altro accanto. «Eravamo felici, finalmente» ricorda Chinyere, «ce la meritavamo un po’ di felicità».

Ieri pomeriggio, davanti a uno schieramen­to di telecamere e macchine fotografic­he questa donna senza più forze se ne stava in piedi sul selciato, scalza, a chiedere giustizia. «Chi è stato deve pagare per quello che ha fatto, non può rimanere tutto impunito, non è possibile».

Di sera, sola nella sua stanza, qualcuno l’ha sentita pregare cantando, come aveva fatto la sera prima durante la fiaccolata per Emmanuel. Una litania che lei stessa ha inventato e tradotto all’amica suora: «Mio Dio, perché mi hai lasciata sola in questo mondo cattivo?».

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 ??  ?? Insieme Sopra, Chinyere ed Emmanuel sorridenti nel giorno delle loro nozze a Fermo. I due erano riusciti ad arrivare dalla Sicilia, dove erano sbarcati, alle Marche grazie alla struttura di accoglienz­a della Caritas «in Veritate». A destra, il dolore di Chinyere alla veglia funebre per Emmanuel
Insieme Sopra, Chinyere ed Emmanuel sorridenti nel giorno delle loro nozze a Fermo. I due erano riusciti ad arrivare dalla Sicilia, dove erano sbarcati, alle Marche grazie alla struttura di accoglienz­a della Caritas «in Veritate». A destra, il dolore di Chinyere alla veglia funebre per Emmanuel

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