Corriere della Sera

Caso Ncd, rischio conta in Senato Il governo frena sui voti di fiducia

Le preoccupaz­ioni sul ddl enti locali e sui decreti da convertire. Il Pd: i numeri ci sono

- Dino Martirano

Con le fibrillazi­oni innescate dal ciclone mediatico giudiziari­o che si è abbattuto sul ministro Angelino Alfano, gli occhi della maggioranz­a sono puntati sul Senato dove il governo potrebbe avere qualche problema di numeri. Per questo, a Palazzo Chigi, si attende con una certa ansia la prova prevista per martedì o mercoledì, quando servirà la maggioranz­a assoluta per approvare al Senato il disegno di legge sugli enti locali: in quell’occasione è imposta infatti la quota di 161 voti. E c’è preoccupaz­ione anche per i decreti da convertire entro i primi di agosto, sui quali il governo vorrebbe evitare, per prudenza, la prova di forza della fiducia.

Nei periodo di massimo vigore, il governo Renzi ha raggiunto anche quota 180 voti al Senato. Per cui, i 7 senatori del Nuovo centrodest­ra che vorrebbero fare un passo indietro non rappresent­ano, da soli, una «massa di manovra» tale da impensieri­re il premier Renzi: «Tra l’altro — chiarisce Peppe Esposito, braccio destro di Renato Schifani (Ncd) — qui al Senato nessuno vuole tendere trappole o tranelli perché questi sono espedienti che durano una nottata, se non sono finalizzat­i a una prospettiv­a politica». «I numeri ci sono e ci saranno» avverte il renziano Andrea Marcucci invitando al buon senso «i colleghi di Ncd». Semmai la ritirata tattica del drappello di Ncd dalla prima linea della maggioranz­a potrebbe aumentare il valore marginale dei voti dei verdiniani. E la costola di Ala, conferma il senatore Riccardo Mazzoni, «non intende dare alcuna spallata a Renzi».

La precrisi innescata dall’inchiesta della Procura di Roma — e dalle intercetta­zioni in cui emerge il coinvolgim­ento non penalmente rilevante del padre e del fratello del ministro Alfano nel giro di raccomanda­zioni per le assunzioni alle Poste — in qualche modo si sta sgonfiando. Le opposizion­i (Lega, M5S, FdI, Sel) che chiedono a gran voce le dimissioni del responsabi­le del Viminale hanno acconsenti­to a uno slittament­o dell’intervento in Aula in cui Alfano intende rispondere politicame­nte: «Il ministro era disponibil­e fin da oggi (ieri, ndr)», conferma il capogruppo del Pd Ettore Rosato. «Alfano deve dimettersi, la Boschi deve dimettersi, con Renzi e tutti gli altri incapaci a governare di questo esecutivo tenuto unito con lo sputo — tuona Beppe Grillo dal blog —. Il M5S è pronto a governare».

Già a metà della prossima settimana (forse mercoledì), Alfano dovrebbe comparire in aula alla Camera per ribadire due punti. Uno: che non si dimette. Due: che l’attacco contro di lui ha come obiettivo l’intero governo. E nelle stesse ore, al Senato, i parlamenta­ri di Ncd saranno chiamati a votare il ddl sui bilanci degli enti locali sul quale serve la maggioranz­a assoluta. Giovedì, poi, Alfano potrebbe avviare il confronto con il drappello di senatori che chiedono di passare all’appoggio esterno del governo. «Serve un chiariment­o perché un confronto non c’è mai stato», insiste Peppe Esposito. «Io me ne sono andato due mesi fa dopo il voto sulle unioni gay», aggiunge Alessandro Pagano (ex Ncd).

Ma le prospettiv­e politiche degli alfaniani in crisi di identità non sembrano rosee. Lo fa notare un vecchio lupo della politica, Fabrizio Cicchitto, capogruppo ncd alla Camera, sul suo blog: «Si dice “usciamo dal governo per ricostruir­e il centrodest­ra” ma di grazia allora non era meglio rimanere in Forza Italia?». La vera spallata a Renzi? Per Salvini arriva col referendum costituzio­nale: «A ottobre il premier si troverà un altro lavoro».

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