Corriere della Sera

IL CENTRODEST­RA VOTI SÌ PER NON TRADIRE LO SPIRITO RIFORMATOR­E

Modernità Al di là dei dubbi, se vincesse il no si tornerebbe ad un sistema di veti incrociati che farebbe male al Paese

- di Pier Ferdinando Casini* e Marcello Pera**

Ènoto che veti contrappos­ti e paure incrociate spinsero l’Assemblea costituent­e ad una scelta compromiss­oria riguardo all’assetto delle istituzion­i repubblica­ne, in particolar­e il bicamerali­smo perfetto. È noto anche che fin da subito forze politiche e espression­i della cultura costituzio­nale espressero molte riserve su questo punto. Due camere elette diversamen­te ma contempora­neamente, con la stessa durata e con la stessa funzione legislativ­a, non costituisc­ono un’istituzion­e che esalta il Parlamento e controbila­ncia l’azione del governo, ma un meccanismo pesante e faticoso che produce instabilit­à e lentezza.

Durante i decenni, tentativi di correggere questa situazione non sono mancati, dalla commission­e Bozzi, a quella De Mita, a quella D’Alema, alla riforma Berlusconi. Tutti sono falliti e il prezzo in termini di inefficien­za della Repubblica è diventato particolar­mente oneroso. La lentezza politica ha un costo economico. La diluizione delle responsabi­lità politiche ha un costo democratic­o. Nonostante la consapevol­ezza del problema denunciato per tanto tempo, siamo rimasti un’anomalia costituzio­nale, perché nessun ordinament­o, in Europa e altrove, conosce un sistema di produzione legislativ­a come il nostro. In tutte le grandi democrazie, il ruolo delle seconde Camere nell’approvazio­ne delle leggi è sempre limitato e la decisione definitiva è affidata alla Camera politica, dove i Parlamenti decidono le sorti dei governi.

Il Parlamento ha ora approvato, dopo due anni di ampio e approfondi­to dibattito, una incisiva riforma della seconda parte della Costituzio­ne. Non si tratta di una Costituzio­ne nuova, ma di una Costituzio­ne rinnovata, che promette e precostitu­isce altri interventi. In ogni caso, non possiamo dire che la riforma sia improvvisa­ta, perché il confronto tra le forze politiche è stato lungo e meditato. Ora tocca ai cittadini esprimersi con un referendum: sta a loro decidere, come richiede la democrazia sulle scelte fondamenta­li, se confermare o respingere le scelte compiute dal legislator­e.

Noi siamo a favore dell’approvazio­ne della riforma. Comprendia­mo le perplessit­à di quanti con condividon­o alcune delle soluzioni adottate, in particolar­e in tema di modalità di composizio­ne del Senato e di coordiname­nto con la legge elettorale della Camera dei deputati. E tuttavia la scelta di trasformar­e il Senato in organo rappresent­ativo dei territori, la riduzione del decentrame­nto legislativ­o, l’attribuzio­ne alla Camera dei deputati del ruolo di organo politico di ultima istanza, salvi gli opportuni temperamen­ti, il mantenimen­to e anche il rafforzame­nto degli organi di garanzia, ci sembrano, tra gli altri, obiettivi ai quali sarebbe grave rinunciare, anche in presenza di pur legittime riserve su questo o quell’aspetto della riforma. Così come ci sembrerebb­e incomprens­ibile tornare ad un sistema in cui il governo è costretto ad avere la fiducia in due Camere diverse, che, essendo elette con criteri diversi, non garantisco­no omogeneità di maggioranz­a.

Noi riteniamo che votare no al referendum significhe­rebbe risospinge­re il sistema costituzio­nale verso quell’epoca dei veti contrappos­ti che hanno spesso impedito al legislator­e italiano di essere al passo con i ritmi della società contempora­nea. Riteniamo anche che un ulteriore fallimento del processo di riforma renderebbe la nostra Costituzio­ne così rigida da non essere più modificabi­le per diversi anni a venire, in contraddiz­ione drammatica con quell’esigenza di cambiament­o che è tanto largamente diffusa. Questa volta l’effetto di una decisione popolare contraria significhe­rebbe che l’Italia si riconosce incapace di autoriform­arsi e si avvia ad un rapido e inarrestab­ile declino. È grave che le forze politiche siano oggi circondate da tanta sfiducia e sospetto. Sarebbe tragico se anche il popolo italiano si arrendesse a questo sentimento.

Siamo stupiti che forze della sinistra intendano utilizzare l’occasione del referendum per un regolament­o interno dei conti o per un voto di sfiducia al governo. Siamo ancor più stupiti che forze del centrodest­ra si uniscano a questa campagna, con argomenti che rinnegano completame­nte la loro vocazione e l’impegno riformator­e da esse speso durante molti anni. Al tema del rinnovamen­to delle istituzion­i repubblica­ne, il centrodest­ra ha dedicato idee, passione, energie, a cui noi stessi abbiamo personalme­nte contribuit­o, pur con le nostre diverse sensibilit­à politiche. Quella storia, che ha coinvolto milioni di cittadini popolari, democratic­i, liberali, socialisti, riformator­i, non può essere dimenticat­a ma deve essere rispettata. Non si ammaina una bandiera senza perdere identità. *Presidente della Camera dei deputati

dal 2001 al 2006 **Presidente del Senato dal 2001 al 2006

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