Farnaz Esmaeilzadeh
«Io, alpinista donna nell’Iran delle barriere Ho imparato da sola e insegno alle altre»
L’arrampicata mi ha trasformata in una guerriera», dice Farnaz Esmaeilzadeh, 27 anni, atleta della Nazionale iraniana. Negli ultimi anni si è distinta in diverse gare internazionali, nonostante le barriere che affronta nel suo Paese. Verrà in Italia il 26 e 27 agosto per la Coppa del Mondo di Arrampicata di Arco, in Trentino.
Dopo la rivoluzione del 1979 e la guerra IranIraq negli anni Ottanta, praticare gli sport femminili divenne difficile nella Repubblica Islamica anche a causa dell’obbligo del velo e della separazione tra i sessi in luoghi come le palestre. Assistere ad eventi sportivi maschili allo stadio è tuttora proibito. Ma Farnaz rappresenta una generazione di donne che si sta ricavando sempre maggiori spazi nelle discipline sportive più disparate — dal calcio al nuoto al motocross — piegando, se occorre, le regole della burocrazia. Una rivoluzione pacifica, fatta di piccoli segni di cambiamento dettati da passioni personali e voglia di libertà.
Con la frangia tinta di biondo che spunta dal foulard striminzito con i colori della bandiera iraniana (che serve a rispettare l’obbligo del velo), Farnaz si addestra tutto il giorno, all’aperto o su una parete artificiale in palestra. «L’arrampicata non è affatto uno sport facile. Parte del successo dipende dalla capacità di fare dei tentativi e di imparare dai tuoi errori — dice al Corriere —. Se sei uomo o donna non importa, devi avere tanta perseveranza se vuoi migliorare. Io non ho un allenatore e non è facile allenarsi con gli uomini in questo Paese. In Iran noi donne abbiamo tempi limitati che possiamo passare in palestra, e le donne hanno orari separati rispetto agli uomini».
Solo per uomini
La sua storia inizia in una piccola città dell’Iran occidentale, Borujerd, ai piedi delle imponenti montagne dello Zagros. «Mi arrampicavo dappertutto quand’ero bambina. Penso che fosse nella mia natura! Mio padre era appassionato di montagna e di alpinismo, e anche mia madre era un’atleta. Ho sentito una voce dentro di me che mi diceva che era quello che volevo davvero fare, che ero nata per questo. Quando avevo 13 anni, ci siamo trasferiti in un’altra città dell’Iran nord-occidentale, Zanjan, e dopo un anno ho cominciato a praticare là l’arrampicata. A quei tempi, la palestra era riservata soltanto agli uomini. Sono stata una delle prime ragazze a iniziare a fare arrampicata a Zanjan insieme a mia madre e ad alcune amiche».
Negli ultimi anni questo sport è diventato più popolare in Iran, ci sono bravi scalatori e vie chiodate in varie zone del Paese. «Molte ragazze oggi lo fanno. Ma soltanto pochissime la praticano a livello professionale e partecipano alle gare internazionali». Circa duecento iraniane competono in eventi nazionali di arrampicata. In alto sulle montagne, lontano dalla polizia della moralità, uomini e donne possono scalare insieme. Ma alle atlete non è permesso avere allenatori uomini, il che le priva della consulenza dei maggiori esperti.
Niente allenatore
Farnaz ha partecipato a due Campionati mondiali organizzati dalla International federation of sport climbing (Ifsc) — vincendo una medaglia d’oro, una d’argento e due di bronzo ai campionati asiatici; e una medaglia d’oro e due d’argento ai campionati nazionali del Canada —. È velocissima: detiene il record asiatico nello «speed climbing» femminile (ed è la 21esima nel mondo). Il prossimo obiettivo è il Campionato del mondo di Parigi a settembre. Da quattro mesi si allena in Canada, alla «Boulders Climbing Gym» di Victoria, dove c’è una parete come quelle che si usano nelle gare internazionali. Sostiene le spese soprattutto di tasca sua: «Nonostante i miei sforzi, non sono riuscita a trovare degli sponsor». Ha racimolato qualcosa facendo da coach ad altre ragazze, ma lei tuttora non ne ha uno. «Purtroppo non ho mai avuto un coach che mi aiutasse ad allenarmi — spiega —. Mi sono allenata da sola, imparando dalle mie esperienze e leggendo libri e articoli».
Imparare dai propri errori ha un prezzo, anche se lei minimizza. «Farsi male è naturale per gli atleti, specialmente se lavori sodo per prepararti a una gara. Anni fa sono caduta sul piede sinistro durante un allenamento di bouldering (arrampicata su massi, ndr) e mi sono slogata la caviglia, così per un po’ ho dovuto continuare usando praticamente solo un piede. L’anno scorso mi sono fatta male alla spalla durante la coppa del mondo di bouldering a Toronto, perché facevo molto sollevamento pesi, e mi sono danneggiata il ginocchio per la corsa eccessiva». Farnaz spera di essere in forma migliore nel 2017. Sogna di essere la prima donna persiana a vincere un titolo mondiale. «Non puoi essere certo di ottenere una cosa di tale enormità. Quel che so è che non smetterò di provarci».
La fine dell’isolamento
Quando Farnaz parla di «cambiamento», è una cosa individuale, interiore, non politica. «Quando scali una parete, combatti le tue debolezze e, con ogni singolo movimento, cerchi di superarle. In generale, i cambiamenti iniziano sempre dal potere interiore e l’arrampicata è lo sport migliore per accrescerlo al di là della forza muscolare. Tutte le difficoltà che ho affrontato mi hanno insegnato a restare determinata e ad affrontare le sfide per diventare una ragazza forte». Quanto contano per lei i cambiamenti politici in Iran e la fine dell’isolamento dopo l’accordo nucleare? «Vedo la politica come una cosa separata dallo sport. Non fa molta differenza come atleta», precisa. Ma poi aggiunge: «Il problema vero è ottenere i visti, al punto che è la parte più difficile della preparazione per le gare! Perciò, l’apertura delle relazioni internazionali può essere positiva. Vorrei un mondo in cui tutti possano inseguire i propri sogni, con mente libera e aperta».
Un coach Purtroppo non ho mai potuto avere un coach, sono cresciuta grazie alle mie esperienze e anche leggendo libri e articoli