Il Centro di Prato riaprirà il 16 ottobre dopo il restauro con una mostra sulla «Fine del mondo» La nuova stagione del «Pecci» Una dimensione globale e locale
Il «Pecci» di Prato, come confidenzialmente è stato sempre chiamato (almeno nel comprensorio) il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, ricomincia dalla fine: La fine del mondo è il titolo della mostra che, il 16 ottobre, certificherà con una grande inaugurazione la rinascita della «prima istituzione in Italia con una sede costruita exnovo per esporre, collezionare, conservare, documentare e diffondere le ricerche artistiche più avanzate». Fondato nel 1988, dal 2007 il «Pecci» era da tempo diventato un cantiere in virtù di un intervento di riqualificazione e ampliamento a carico del vecchio edificio progettato da Italo Gamberini, intervento che tre anni fa aveva infine portato alla definitiva chiusura al pubblico. Anche se dalla contigua autostrada Firenze-Mare il Centro rimaneva comunque sempre identificabile grazie alle sculture (Mauro Staccioli, Anne & Patrick Poirier) del suo giardino.
«Il titolo nasce dalla considerazione che ciò che abbiamo conosciuto finora è obsoleto, ma la mostra non vuole essere la rappresentazione di un futuro catastrofico imminente, piuttosto la presa di coscienza della condizione di incertezza in cui versa il nostro mondo»: così Fabio Cavallucci, direttore del «Pecci» e curatore della Fine del mondo, ha presentato ieri, a Milano, la nuova vita e le nuove iniziative del Centro. Scegliendo, non a caso, la sala dell’Arte povera del Museo del Novecento, visto che la collezione del «suo» museo ha fin dall’inizio ospitato opere (oltre che di Lewitt e Kapoor) di Merz, Kounellis, Pistoletto. In mostra fino al 19 marzo ci saranno (tra gli altri) Hirschhorn e Boccioni, Suzanne Lacy e Björk, Duchamp e Warhol. Anche se tra le novità annunciate ieri c’è un’architettura progettata dall’olandese L’esterno del nuovo «Pecci» di Prato progettato dall’architetto olandese Maurice Nio (foto Ivan D’Alì)
Maurice Nio (esternamente caratterizzata da una megaantenna «per captare e segnalare le emergenze creative») che di fatto elimina la divisione tra spazio-mostre e spaziocollezioni. Una mutazione che a fine lavori porterà la superficie utile del «Pecci» a quasi 10 mila metri quadrati («Saremo l’unica istituzione pubblica dedicata all’arte contemporanea in Italia, e una delle poche in Europa, a inaugurare un nuovo edificio nel decennio 2010-2020»).
A fianco del direttore del «Pecci», ieri c’erano il direttore del Museo del Novecento di Milano Claudio Salsi, una presenza che fa pensare a possibili collaborazioni tra le due istituzioni; Irene Sanesi, la presidente della Fondazione per le arti contemporanee in Toscana che gestirà il Centro, che ha parlato di una vocazione «glocre-al» ovvero globale, creativa e locale del «Pecci» (che avrà a sua disposizione annualmente un contributo di 1.160.000 euro dal Comune di
Prato e 1 milione dalla Regione Toscana); il sindaco di Prato Matteo Biffoni che ha sottolineato «la connessione che da sempre ha legato il Centro e il suo territorio».
La navicella semi-spaziale disegnata da Nio (costo totale 14 milioni e 400 mila euro) non sarà un semplice contenitore di capolavori per collezionisti e tecnici ma anche di conoscenza (ribadendo lo spirito con cui l’imprenditore Enrico Pecci aveva voluto nel 1988 costruire il Centro e donarlo alla città in memoria del figlio Luigi): a questo serviranno la biblioteca, il teatro all’aperto, il cinema, il giardino e anche il pub/bistrot e il ristorante. E, tra i possibili interlocutori, ci saranno necessariamente i membri della comunità cinese (il 20% della popolazione pratese): «Per la prima volta mi ha telefonato un imprenditore cinese — ha raccontato Cavallucci — chiedendomi delle nostre attività». Per il «Pecci» più che di Fine del mondo si può davvero parlare di una «nuova vita».