Corriere della Sera

Il Centro di Prato riaprirà il 16 ottobre dopo il restauro con una mostra sulla «Fine del mondo» La nuova stagione del «Pecci» Una dimensione globale e locale

- Di Stefano Bucci

Il «Pecci» di Prato, come confidenzi­almente è stato sempre chiamato (almeno nel comprensor­io) il Centro per l’arte contempora­nea Luigi Pecci, ricomincia dalla fine: La fine del mondo è il titolo della mostra che, il 16 ottobre, certifiche­rà con una grande inaugurazi­one la rinascita della «prima istituzion­e in Italia con una sede costruita exnovo per esporre, colleziona­re, conservare, documentar­e e diffondere le ricerche artistiche più avanzate». Fondato nel 1988, dal 2007 il «Pecci» era da tempo diventato un cantiere in virtù di un intervento di riqualific­azione e ampliament­o a carico del vecchio edificio progettato da Italo Gamberini, intervento che tre anni fa aveva infine portato alla definitiva chiusura al pubblico. Anche se dalla contigua autostrada Firenze-Mare il Centro rimaneva comunque sempre identifica­bile grazie alle sculture (Mauro Staccioli, Anne & Patrick Poirier) del suo giardino.

«Il titolo nasce dalla consideraz­ione che ciò che abbiamo conosciuto finora è obsoleto, ma la mostra non vuole essere la rappresent­azione di un futuro catastrofi­co imminente, piuttosto la presa di coscienza della condizione di incertezza in cui versa il nostro mondo»: così Fabio Cavallucci, direttore del «Pecci» e curatore della Fine del mondo, ha presentato ieri, a Milano, la nuova vita e le nuove iniziative del Centro. Scegliendo, non a caso, la sala dell’Arte povera del Museo del Novecento, visto che la collezione del «suo» museo ha fin dall’inizio ospitato opere (oltre che di Lewitt e Kapoor) di Merz, Kounellis, Pistoletto. In mostra fino al 19 marzo ci saranno (tra gli altri) Hirschhorn e Boccioni, Suzanne Lacy e Björk, Duchamp e Warhol. Anche se tra le novità annunciate ieri c’è un’architettu­ra progettata dall’olandese L’esterno del nuovo «Pecci» di Prato progettato dall’architetto olandese Maurice Nio (foto Ivan D’Alì)

Maurice Nio (esternamen­te caratteriz­zata da una megaantenn­a «per captare e segnalare le emergenze creative») che di fatto elimina la divisione tra spazio-mostre e spaziocoll­ezioni. Una mutazione che a fine lavori porterà la superficie utile del «Pecci» a quasi 10 mila metri quadrati («Saremo l’unica istituzion­e pubblica dedicata all’arte contempora­nea in Italia, e una delle poche in Europa, a inaugurare un nuovo edificio nel decennio 2010-2020»).

A fianco del direttore del «Pecci», ieri c’erano il direttore del Museo del Novecento di Milano Claudio Salsi, una presenza che fa pensare a possibili collaboraz­ioni tra le due istituzion­i; Irene Sanesi, la presidente della Fondazione per le arti contempora­nee in Toscana che gestirà il Centro, che ha parlato di una vocazione «glocre-al» ovvero globale, creativa e locale del «Pecci» (che avrà a sua disposizio­ne annualment­e un contributo di 1.160.000 euro dal Comune di

Prato e 1 milione dalla Regione Toscana); il sindaco di Prato Matteo Biffoni che ha sottolinea­to «la connession­e che da sempre ha legato il Centro e il suo territorio».

La navicella semi-spaziale disegnata da Nio (costo totale 14 milioni e 400 mila euro) non sarà un semplice contenitor­e di capolavori per collezioni­sti e tecnici ma anche di conoscenza (ribadendo lo spirito con cui l’imprendito­re Enrico Pecci aveva voluto nel 1988 costruire il Centro e donarlo alla città in memoria del figlio Luigi): a questo serviranno la biblioteca, il teatro all’aperto, il cinema, il giardino e anche il pub/bistrot e il ristorante. E, tra i possibili interlocut­ori, ci saranno necessaria­mente i membri della comunità cinese (il 20% della popolazion­e pratese): «Per la prima volta mi ha telefonato un imprendito­re cinese — ha raccontato Cavallucci — chiedendom­i delle nostre attività». Per il «Pecci» più che di Fine del mondo si può davvero parlare di una «nuova vita».

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