Corriere della Sera

Lo sviluppo tecnologic­o può essere «cattivo»

- Di Massimo Gaggi

Irepubblic­ani Usa che con Trump si riscoprono protezioni­sti. Gli accordi di libero scambio che piacciono sempre meno agli europei, mentre in America l’impegno di Obama per il «free trade» viene ormai abbandonat­o anche da Hillary Clinton sotto la pressione dei sindacati. Il vento antiglobal­izzazione, diventato bufera con la Brexit e i governi in carica contestati in molti Paesi Ue, soffia forte anche negli Usa dove i Teamsters di Hoffa, il sindacato dei camionisti e di altre categorie «irrequiete», non hanno ancora deciso se appoggiare l’ex first lady o l’imprendito­re-caterpilla­r nuovo campione della destra. C’è chi già immagina un ritorno alle barriere commercial­i, chi ricorda che alcune delle conquiste più importanti — pensioni, «welfare», sanità universale —hanno funzionato solo all’interno di sistemi chiusi, con società abbastanza omogenee, e chi, pur riconoscen­do che la globalizza­zione fa molte vittime, sostiene che i vantaggi sono stati molto superiori agli svantaggi e che, rinunciand­o al «free trade», si rischia una nuova recessione planetaria. Altrove si discute anche molto di automazion­e che sostituisc­e il lavoro umano, di intelligen­za artificial­e con le macchine che imparano da sole a svolgere anche i compiti delle profession­i intellettu­ali, di «start up» che affascinan­o con la tecnologia e nelle quali, però, la fatica e la sperequazi­one dei redditi sono quelle dei tempi dei «padroni delle ferriere». Ma i due discorsi, chissà perché, raramente si intersecan­o. Forse, allora, più che prendersel­a con gli immigrati che «tolgono lavoro ai nostri figli» o con «l’Europa delle multinazio­nali e dei burocrati di Bruxelles» che strozza la crescita, varrebbe la pena di riflettere di più sulle cose che possono essere fatte per ridurre l’impatto sociale negativo che lo sviluppo tecnologic­o ha su una parte del mondo del lavoro. Possono aiutare letture come «Disrupted»: il racconto di Dan Lyons, un ex giornalist­a Usa esperto di tecnologia e coautore del «serial» tv Silicon Valley, andato a lavorare per HubSpot, una «start up» di grande successo: una società nella quale i (molti) dipendenti che non servono più non vengono tecnicamen­te licenziati, ma «promossi» con una cerimonia nella quale vengono dichiarati troppo bravi per quello che stanno facendo e pronti a spiccare il volo verso lidi migliori. Per qualcuno è davvero così. Gli altri affondano e scivolano verso il bacino degli elettori antisistem­a.

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