Lo sviluppo tecnologico può essere «cattivo»
Irepubblicani Usa che con Trump si riscoprono protezionisti. Gli accordi di libero scambio che piacciono sempre meno agli europei, mentre in America l’impegno di Obama per il «free trade» viene ormai abbandonato anche da Hillary Clinton sotto la pressione dei sindacati. Il vento antiglobalizzazione, diventato bufera con la Brexit e i governi in carica contestati in molti Paesi Ue, soffia forte anche negli Usa dove i Teamsters di Hoffa, il sindacato dei camionisti e di altre categorie «irrequiete», non hanno ancora deciso se appoggiare l’ex first lady o l’imprenditore-caterpillar nuovo campione della destra. C’è chi già immagina un ritorno alle barriere commerciali, chi ricorda che alcune delle conquiste più importanti — pensioni, «welfare», sanità universale —hanno funzionato solo all’interno di sistemi chiusi, con società abbastanza omogenee, e chi, pur riconoscendo che la globalizzazione fa molte vittime, sostiene che i vantaggi sono stati molto superiori agli svantaggi e che, rinunciando al «free trade», si rischia una nuova recessione planetaria. Altrove si discute anche molto di automazione che sostituisce il lavoro umano, di intelligenza artificiale con le macchine che imparano da sole a svolgere anche i compiti delle professioni intellettuali, di «start up» che affascinano con la tecnologia e nelle quali, però, la fatica e la sperequazione dei redditi sono quelle dei tempi dei «padroni delle ferriere». Ma i due discorsi, chissà perché, raramente si intersecano. Forse, allora, più che prendersela con gli immigrati che «tolgono lavoro ai nostri figli» o con «l’Europa delle multinazionali e dei burocrati di Bruxelles» che strozza la crescita, varrebbe la pena di riflettere di più sulle cose che possono essere fatte per ridurre l’impatto sociale negativo che lo sviluppo tecnologico ha su una parte del mondo del lavoro. Possono aiutare letture come «Disrupted»: il racconto di Dan Lyons, un ex giornalista Usa esperto di tecnologia e coautore del «serial» tv Silicon Valley, andato a lavorare per HubSpot, una «start up» di grande successo: una società nella quale i (molti) dipendenti che non servono più non vengono tecnicamente licenziati, ma «promossi» con una cerimonia nella quale vengono dichiarati troppo bravi per quello che stanno facendo e pronti a spiccare il volo verso lidi migliori. Per qualcuno è davvero così. Gli altri affondano e scivolano verso il bacino degli elettori antisistema.