PERCHÉ È SBAGLIATO SPEGNERE IL WI-FI LIBERO CHE USANO I MIGRANTI
Oscurare il wi-fi cittadino per evitare assembramenti di rifugiati e profughi. È l’idea del sindaco di Pordenone, come risposta alle lamentele dei cittadini che «non si sentono più sicuri e a loro agio nel frequentare piazze e parchi». Più o meno lo stesso provvedimento è stato preso a Udine, anche se non così radicale (il segnale è stato ridotto in centro). Due giunte, diverse, destra e sinistra, stessa decisione. Il disagio dei cittadini è veder bivaccare i migranti a cielo aperto, se non addirittura vederli soggiornare (vitto e alloggio) negli spazi pubblici, probabilmente sentendosi «minacciati» dalla loro presenza. A essere «buonisti», si potrebbe obiettare che il disagio dei rifugiati e dei profughi non è veder ma dover bivaccare giorno e notte all’aperto: il che impone loro, tra l’altro, l’uso del wi-fi pubblico come strumento se non proprio di prima almeno di seconda necessità, per potersi mettere in contatto con i Paesi d’origine. È curioso che per risolvere (o pensare di risolvere o illudere di voler risolvere) una questione di ordine (e di malumore) pubblico si decida di rinunciare ai benefici della tecnologia, come se le conquiste della modernità fossero responsabili di aggravare i «disagi» della cosiddetta multiculturalità. È prevedibile che, nel giro di qualche settimana, questa misura tecno-proibizionista rivelerà al cittadino la propria totale inutilità: perché è evidente che, wi-fi o no, in mancanza di meglio i «bivaccatori» continueranno a bivaccare, oltretutto privati del conforto di chiamare i parenti lontani (che saranno genitori, figli, mogli eccetera). E il loro risentimento si aggiungerà alla rabbia dei cittadini italiani che attribuiranno al «clandestino» anche la colpa di essere stati privati di un bene che considerano spesso, loro sì, di primissima necessità. (E poi in fondo, a Charleroi, negli Anni 50, si proibiva solo ai cani e agli italiani di accedere ai locali pubblici: i privilegi dei belgi non venivano intaccati).