Abitare (e lavorare) in campagna è bello. Ma non troppo
Il libro-testimonianza di Antonio Leotti smonta con efficacia stereotipi e luoghi comuni sul mondo contadino
Mai più la retorica, oggi di gran moda, sul mondo contadino, l’ode alla «natura naturale», alle eccellenze (enogastronomiche) del territorio, a patto che sia sostenibile, ovvio. Di fresca pubblicazione, il libro di Antonio Leotti Nella valle senza nome / Storia tragicomica di un agricoltore (Laterza,) smonta pezzo per pezzo tutti i luoghi comuni attorno alla vita rurale, con una prosa a presa rapida, al limite della scorrettezza. Ma anche estremamente efficace.
Leotti, figlio di latifondisti toscani è in bilico tra la sua professione di sceneggiatore e la gestione dell’azienda agricola di famiglia, che guida dal 1994. Era incolta, dopo anni di abbandono, complici le sovvenzioni comunitarie che erogavano fondi per «non» coltivare la terra. Ad ogni modo, l’autore riprende l’argomento già trattato nel precedente libro Il mestiere più antico del mondo (Fandango), lo ricalca e lo sviluppa, ripercorrendo la sua vita non solo di agricoltore di ritorno ma anche di intellettuale, nell’evoluzione del suo pensiero socio-politico. Lascia la Destra della gioventù, scoprendone ben presto vizi e limiti, per approdare a modo suo alla Sinistra, da lui non meno criticata.
Del resto, il pianeta rosso della Toscana dove si colloca la sua valle senza nome gli offre molti spunti esemplari. Numerose pagine del libro sono dedicate alla battaglia estenuante contro le ottusità degli enti locali, le paranoie burocratiche, l’estremismo ecologista. Di mezzo, c’è il taglio di alcuni alberi vecchi, marci, pericolanti, che stanno nel bosco di proprietà di Leotti. Che riflette: «L’idealizzazione del mondo rurale oggi è massiccia, indiscriminata, dogmatica e soprattutto strumentale. Comincia con il rifiuto della modernità, un rifiuto sottile, invisibile, mai apertamente dichiarato. Un rifiuto che il Partito sembra aver idealizzato e fatto proprio».
Se la prende con il pensiero unico dell’ambientalismo, divenuto «supporto essenziale a una strategia di marketing inventata da alcuni geniali imprenditori che hanno intuito le potenzialità delle cosiddette nicchie di mercato». Attacca l’avversione «politicamente corretta» agli Ogm e, facendo nomi e cognomi, non risparmia neppure stimati personaggi come il regista Ermanno Olmi («Chi gli impedisce di fondare un partito della povertà?») e il guru di Slow Food Carlin Petrini («Anche lui porta l’acqua al suo mulino»). Conclude: «L’ammirazione per la povertà viene dalla consapevolezza che la gente non ricorda affatto l’inferno del mondo contadino».