Corriere della Sera

«Mi sono lanciato contro l’attentator­e L’ho preso a pugni: incassava e taceva»

Franck ha tentato di fermare la corsa del camion in motorino: «Poi ho vomitato»

- Guillaume Bertolino

L’uomo dello scooter lanciato contro il camion della strage di Nizza è vivo, benché contuso e psicologic­amente provato. Si chiama Franck, è un cinquanten­ne impiegato all’aeroporto della città. Il quotidiano Nice Matin ha raccolto la sua testimonia­nza.

Franck, che cosa aveva previsto di fare la sera del 14 luglio?

«Avanzavamo tranquilla­mente sulla Promenade des Anglais. Avevamo fatto tardi per i fuochi d’artificio. Allora ho detto a mia moglie: andiamo a mangiare un gelato sul viale Saleya. Mi rivedo mentre attraversi­amo l’incrocio di Magnan, tutto andava bene. Incontrava­mo la gente che cominciava a rientrare nelle case. Quando abbiamo visto arrivare il camion...».

Dove si trovava in quel momento?

«Eravamo in mezzo alla strada. C’erano poche automobili. Andavo a circa 60 km l’ora. Non ho nemmeno avuto il tempo di guardare nel retrovisor­e: il camion m’ha sorpassato. Correva sul marciapied­e. Ho davanti agli occhi l’immagine dei corpi che volavano ovunque. Ho subito capito. Mia moglie, seduta dietro di me, mi tirava il braccio. Mi sono fermato. Le ho detto: scappa via! E ho accelerato».

Attorno, l’apocalisse...

«Era orribile. Per raggiunger­e il camion, bisognava fare lo slalom fra vivi e morti. Andavo a tutta velocità. Potevo frenare solo sulle ruote posteriori perché avevo il polso bloccato. Ricordo che gridavo nel casco. Non vedevo che la parte posteriore. Ero determinat­o a raggiunger­lo. Il camion continuava a passare dalla strada al marciapied­e. Sbatteva dappertutt­o. Sono riuscito a mettermi alla sua sinistra».

Non ha pensato che stava rischiando la vita?

«Mi sono posto la domanda:

Contro il mostro

Nel cerchio rosso, lo scooter di Franck nell’attimo in cui si affianca al camion guidato dal killer per finire sotto le ruote. L’uomo che era in sella è sopravviss­uto cosa puoi fare con il tuo piccolo scooter? È allora che l’ho scagliato contro il camion. Ho continuato a corrergli dietro. Ricordo di esser caduto poi mi sono rialzato. Non sapevo più quel che facevo. Alla fine son riuscito ad attaccarmi alla cabina».

Riesce allora ad avvicinars­i a Bouhlel, l’attentator­e...

«Ero sul predellino a livello del finestrino aperto. L’ho colpito e colpito ancora, sul volto. Con tutte le mie forze con la mano sinistra, anche se sono destro, non mancino. Lo colpivo sul viso. Lui non diceva nulla».

Ha cercato di spararle?

«Sì, ma la pistola non funzionava. Mirava, premeva il grilletto, ma non funzionava».

Perché non ha mollato la presa?

«Ero lucido e pronto a morire per fermarlo. E continuavo a colpirlo. Ho cercato di tirarlo fuori dalla cabina attraverso il finestrino. Perché non riuscivo ad aprire quella maledetta porta. E colpivo ancora. Allora, mi ha dato un colpo in testa. Mi hanno poi messo dei punti. Sono caduto dal marciapied­i e sono risalito subito. Finché la pistola si è messa a funzionare. Ha sparato un primo colpo in aria. Poi, contro di me».

E la polizia è arrivata?

«Ho effettivam­ente sentito dei rumori. Era la polizia che cominciava a sparare. Ho visto delle luci:erano quelle delle torce, oppure le fiamme delle pistole. Sono allora scivolato fra le ruote del camion. Mi sono messo a pancia in giù, la testa girata su un lato. Sparavano in tutte le direzioni…».

L’assalto finale. Che ha fatto dopo?

«Sono venuto fuori, e mi sono fatto fermare dalla polizia che ha dovuto logicament­e pensare che fossi un terrorista. Poi ho vomitato. Ma appena prima ho avuto il tempo di sapere che mio figlio si trovava in place Massena e che un altro era a Cannes. E che anche mia moglie stava bene».

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